Pci/1 Quella mostra è un insulto all’Unità

Carissimo Lussana, sono indignato per la mostra del Pci a Palazzo Ducale, che è stata inserita nelle commemorazioni dell’Unità d’Italia.
Sarà anche vero che il comunismo di una volta era una cosa seria, su questo non c’è dubbio, è vero anche che essere comunisti, una volta, comportava, almeno a livello di militanti, una tensione morale oggi inesistente, ma ai livelli «superiori», alla tensione morale subentrava un infinito cinismo supportato da un altrettanto profondo abisso di ipocrisia e dal dovere della menzogna.
E non parlo a vanvera.
Dunque, questa squallida rassegna della storia del Pci è stata inserita furbescamente nelle celebrazioni del 150º dell’Unità d’Italia (in tal modo prendendo due piccioni con una fava: si fa bassa propaganda comunista e la si fa a spese della comunità nazionale) e questa non è solo una operazione cinica e menzognera, ma un vero e proprio insulto all’Unità d’Italia, di una protervia unica, icona di una città devastata dall’ideologia comunista decenni dopo la morte storica del comunismo, e i cui abitanti sono solo comparabili a squallidi automi i cui comandi restano saldamente in mano sempre agli stessi boss, bravissimi a manovrarli, producendo in loro, a seconda della bisogna, sdegno, rivolta, furore, esibizione di bandiere della pace o, il giorno dopo, l’esaltazione della guerra in Kosovo o in Libia, a seconda delle necessità politiche contingenti, ma soprattutto in grado di indurre detti automi a votare il candidato «giusto», sia esso, di volta in volta un Sansa o un Pericu o una Vincenzi o un camionista di passaggio, se del caso (vedi le parole a suo tempo rivolte a Sansa da Benvenuto).
Alle scolaresche portate a «imparare» il comunismo (solo a Genova può accadere tale oscenità!) non viene ovviamente raccontato, a proposito di Unità d’Italia, che i comunisti italiani agli ordini di Palmiro Togliatti (che a sua volta obbediva al massimo sterminatore Stalin) per anni hanno sostenuto la necessità di cedere Trieste al comunista Tito, l’assassino di decina di migliaia di italiani infoibati, e che ogni manifestazione di studenti a favore di Trieste Italiana veniva implacabilmente repressa dalle disciplinate schiere di picchiatori comunisti, come sa bene il sottoscritto che si fece la sua brava settimana al Galliera.
E gli eredi di coloro che volevano consegnare al nemico una parte di Patria (parola questa che per decenni non potè essere pronunciata pena la derisione o la minaccia da parte comunista) oggi celebrano l’Unità d’Italia, esibendo ipocritamente la bandiera nazionale e tacciando altrui d’essere quelli che la Patria vogliono spezzettare.
Carissimo Lussana: l’altro giorno c’era visibile, ai piedi del Palazzo Ducale, uno spettacolo altamente edificante, un gruppo di giovani con magliette alla Che Guevara o falce e martello, con tanto di bandiere rosse in mano. Giacevano ubriachi immersi nel loro vomito. Confesso che a me stanno benissimo: sono loro la mia vendetta personale per l’insulto che certa gente ha osato portare all’Italia, inserendo la storia del Pci nella celebrazione dell’Unita’ d’Italia.


Lo dico come italiano che è stato fiero di farsi una naja di 28 mesi, come nipote di quel Giacomo Venezian, triestino, caduto sul Carso nel 1915 e che oggi riposa a Redipuglia, nella Galleria delle Medaglie d’Oro e discendente di un altro Giacomo Venezian, Garibaldino del Battaglione Medici, morto a Roma il 2 Luglio 1849, combattendo per la Repubblica Romana.
Con la consueta stima e simpatia.

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