Il Pd ha poco da festeggiare. Ma litiga lo stesso

Fra batoste elettorali in serie, liti furibonde fra candidati alla segreteria e soprattutto fra i loro supporters, linea politica più eventuale che varia, concorrenza lontana di Pdl e Lega che richiamano sempre più elettori delle classi popolari, e concorrenza vicina di Antonio Di Pietro, l’impressione è che il Pd non abbia moltissimo da festeggiare. Anzi.
Eppure, puntuale come ogni festa comandata, anche quest’anno arriva la Festa nazionale dell’Unità, sia pure ribattezzata in salsa Pd: Festa Democratica. Nemmeno il triangolo rosso dà più le soddisfazioni economiche di una volta e quindi, per la seconda volta in cinque anni, la kermesse nazionale torna a Genova. Segno fra l’altro di un’attenzione notevolissima alle regionali del prossimo anno: la sconfitta in Liguria del 2000 costrinse alle dimissioni da presidente del Consiglio Massimo D’Alema, che aveva puntato tutto sulle regionali; nel 2004, alla vigilia del nuovo turno amministrativo, la Festa nazionale fece da apripista alla campagna elettorale di Claudio Burlando e, anche stavolta, il governatore ligure affida alla Festa un ruolo centrale nella difficilissima battaglia per una conferma contro il forte candidato del centrodestra Sandro Biasotti.
Dopo un’estate passata a parlare di crisi, risparmi, casse integrazioni, salari all’osso e licenziamenti, spalmando pauperismo ovunque, i Francheschini-boys non si risparmiano nulla e mettono a bilancio tre milioni di euro per la Festa, cifra che comprende sì tutto, dagli allestimenti ai costi vivi per gli approvvigionamenti alimentari, ma che è comunque ragguardevole considerando che il grosso di coloro che lavorano alla Festa, soprattutto nelle cucine e ai tavoli, è tuttora costituito da volontari. Insomma, tre milioni di euro (che dovrebbero portarne circa 100mila di utile) idealmente dedicati da Dario Franceschini, nella sua lettera aperta ai visitatori della Festa: «La nostra Italia è quella reale che fa sacrifici per far studiare i propri figli e per far quadrare i conti fra bollette e spese».
Franceschini - nel suo testo permeato di una differenza quasi antropologica tra «la nostra Italia» e la loro Italia - spiega che la Festa sarà «un momento utile e importante per il Pd: perché vuole parlare a tutti e tutti saprà ascoltare». Bellissima frase. Ma con un problemino. Vorrà pure parlare a tutti, vorrà pure ascoltare tutti, ma ha qualche difficoltà a calibrare i tempi per i tre candidati segretari. Ovviamente, tutti e tre avranno una tribuna (Franceschini lunedì 24, Pierluigi Bersani giovedì 27 e Ignazio Marino domenica 30), ma manca quello che sarebbe stato il piatto forte: un confronto pubblico.
Ma c’è di più: il «comizio finale», il mitico «comizio finale», quello per cui i ghost-writer dei vari segretari comunisti prima, pidiessini poi e diessini dopo ancora, lasciavano filtrare «la linea» in sala stampa - trattandola come una sorta di vangelo laico e trovando puntualmente stuoli di cronisti che si genuflettevano di fronte ai fogli del discorso e alla sua esegesi - viene sostituito da un’anonima «iniziativa di chiusura della Festa con Dario Franceschini», in programma il penultimo giorno. Lo staff del segretario spiega che quella di Dario è una scelta di «cortesia istituzionale». Ma deve trattarsi di un geniale eufemismo per dire che dalemian-bersaniani e uomini di Marino non avrebbero sopportato uno spottone simile a ridosso del congresso. Quindi, addio ai torpedoni di militanti e iscritti per il comizio finale. Ma, ad esempio, non a quelli dei supporter dei vari candidati: il circolo di Carcare, ad esempio, ha già fatto sapere che scenderà in forze dall’entroterra savonese a Genova, «ma solo per ascoltare Bersani».
Il resto, è la classica lista delle presenze e delle assenze. Mancherà Silvio Berlusconi («non l’abbiamo invitato perché questa è una Festa e non un festino» ride compiaciuto il capo degli organizzatori Lino Paganelli) e mancherà Antonio Di Pietro, che ha mandato in avanscoperta solo Leoluca Orlando. Ci sarà Walter Veltroni, ma solo in veste di romanziere, a differenza di Massimo D’Alema che interverrà come politico, non a caso affiancato dall’Udc Bruno Tabacci. Ci saranno Gianfranco Fini e Renato Schifani e cinque ministri, scelti fra i meno indigesti al popolo democratico: Giulio Tremonti, Franco Frattini, Altero Matteoli, Giorgia Meloni e Mara Carfagna. E un leghista dalla faccia buona come Giancarlo Giorgetti.
Soprattutto, ci saranno tanti giornalisti. Direttori come se piovesse. Ezio Mauro, tanto per dire, viene segnalato con un carattere tipografico doppio di quello riservato a Francesco Rutelli e chissà se significa qualcosa.

E non mancheranno undici rappresentanti della stampa estera, ospiti della Festa, «per controllare cosa succede veramente in questo Paese». Casualmente, la Francia sarà rappresentata da Libération e la Spagna da El País. Tutto il mondo è Pais.
(ha collaborato Federico Casabella)

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