RomaIl terzo candidato spaventa molto gli ex Popolari, che si sono riuniti a Norcia sotto la regia di Franco Marini per motivare il loro sostegno a Dario Franceschini.
Strano a dirsi, ma più che del competitor ufficiale, Pierluigi Bersani, si è parlato delloutsider, il «cavallo scosso» (quello che arriva al traguardo del Palio anche senza fantino) Ignazio Marino. Il chirurgo prestato alla politica, il luminare che ha fatto la sua carriera negli Usa e che, al Senato, ha guidato la battaglia liberal sul caso Englaro e il testamento biologico. Marino che, mentre il Pd su quel tema sprofondava in un pantano di incertezze e contraddizioni interne, è diventato una sorta di icona per tutta lanima laica del partito. «Della candidatura Marino avremmo fatto volentieri a meno», dice Peppe Fioroni. «Cercherò di convincerlo ad evitare di candidarsi», promette Marini, che vede nel suo «nuovismo iper-ideologizzato» un «pericolo» non solo per il partito ma addirittura per il paese. «La laicità è una condizione, non può essere un contenuto politico», denuncia Castagnetti. «Vuol spostare lasse culturale del partito», si spaventa Giorgio Merlo.
Curioso che i cattolici pro-Franceschini siano così in agitazione, visto che sulla carta «la candidatura di Marino va a pescare voti più nella nostra area che in quella di Franceschini e Veltroni», calcola il «bersaniano» Gianni Cuperlo. Tantè che DAlema e lo stesso Bersani si son dati un gran da fare a cercare di dissuaderlo dal partecipare. Certo la ruggine è di vecchia data: durante la battaglia in Senato sul testamento biologico, gli ex Ppi costrinsero Veltroni a togliere di mezzo Ignazio Marino come capogruppo nella competente commissione, e sostituirlo con la molto devota Dorina Bianchi. E poco tempo fa Franco Marini si è lasciato scappare una battuta che non è piaciuta al chirurgo: «Candidato lui? Mica siamo in rianimazione!».
Il problema è che Marino, con la sua netta battaglia per i diritti civili e la laicità, rischia di aprire più contraddizioni dentro larea franceschiniana. Perchè il candidato segretario è un cattolico ex Ppi, i Popolari stanno dalla sua parte, anche Francesco Rutelli si è schierato con lui; ma con lui ci sono anche molti ex Ds. E cè quella area di «giovani» (i «lingottini», li hanno chiamati) che avevano sperato in Sergio Chiamparino e che Veltroni e Franceschini avevano tutte le intenzioni di recuperare alla causa del «nuovo». E probabilmente ci sarebbero anche riusciti, se non ci fosse stato Marino. Che adesso è diventato il «loro» candidato.
Lui ieri non ha aperto bocca, e ancora non ha ufficialmente sciolto la riserva. Quel che è certo, però, è che una sua candidatura caratterizzata sul tema forte della laicità costringerà anche Bersani a spingere su quel pedale, come daltronde gli chiedono molti suoi sostenitori. E Franceschini (che non a caso ieri ha evitato di intervenire al convegno di Norcia, dove pure era presente, per non targarsi troppo come ex Ppi) rischia di vedersi appiccicata letichetta di anti-laico. Col rischio di perdere una buona fetta di voto liberal e di sinistra, che certo non basterà la Serracchiani a recuperare.
DAlema, intanto, spiega qual è la posta in gioco: «Perseverare è diabolico, dobbiamo liberare il partito dal modello di leaderismo plebiscitario, con un impianto anti-politico» Il congresso, in realtà, non è tanto una conta sul segretario, ma un grande referendum sul modello Veltroni: su quel partito allamericana che - piaccia o non piaccia - è stata la vera novità della stagione veltroniana. Altro che Sassoli o Serracchiani.