Pd, oggi Franceschini sfida l’ira dell’assemblea

Il numero due Pd arriva all’assise "blindato" dai big del suo partito. Ma i militanti anziché ratificare la scelta potrebbero far scoppiare la rivolta e chiedere un congresso "vero": un mese per il segretario

Pd, oggi Franceschini sfida l’ira dell’assemblea

Roma - L’unico timore della vigilia, dopo che il gruppo dirigente si è praticamente blindato sul nome di Dario Franceschini, resta quello dei «colpi di testa» della platea.

I membri dell’assemblea costituente del Pd, che si riunisce stamane nei desolati capannoni della Nuova Fiera di Roma, sono ben 3.000. Sulla carta, perché alla terza ed ultima riunione del mastodontico organismo ne arrivarono a malapena 600, un quinto. E visti i tempi di convocazione volutamente abbreviati (tre giorni appena), si spera che ne arrivino pochi anche stavolta, e quei pochi siano quelli «affidabili», che rispondono ai capicorrente. Le truppe cammellate, insomma.

Perché a quei pochi, fidati costituenti bisognerà far ingoiare un boccone che - a giudicare dai sondaggi, dai blog, dalle riunioni di base - non suscita gli entusiasmi popolari. L’elezione a segretario dell’ex vice di Walter Veltroni, Franceschini, a tanti non pare un rimedio all’altezza del male che affligge il Pd dopo l’abbandono del leader.

Governare l’assemblea di oggi è dunque il principale rovello dello stato maggiore del partito, che fino a ieri notte è passato da una riunione all’altra. La tentazione di «blindare» la riunione limitando strettamente il dibattito e tentando di arrivare ad una rapida ratifica delle decisioni prese al Nazareno è stata accantonata. C’era il rischio di esasperare gli animi e far scoppiare la rivolta di quelli che chiedono di andare subito ad un congresso «di svolta» e a primarie vere.

Dunque toccherà far parlare i delegati. L’assemblea, tra parentesi, è acefala: il presidente era Prodi, ma il Professore ha mandato tutti a quel paese circa un anno fa, e da allora il posto è vacante. Toccherà ad Anna Finocchiaro, in quanto capogruppo al Senato, aprire i lavori e guidare l’adunata, ammonendola: «Serve un grande senso di responsabilità». Poi si voterà sull’alternativa proposta dallo statuto: eleggere un segretario in assemblea o convocare il congresso. Il senatore veltroniano Stefano Ceccanti ha già pronta una mozione per la «terza via»: né elezione né congresso, ma primarie subito. Se, come si spera fervidamente al Nazareno, l’assemblea voterà invece per eleggere subito il segretario, si passerà alle candidature: per ora in campo c’è solo Arturo Parisi, a contrastare il predestinato, ma altri potrebbero arrivare last minute.

Franceschini da tre giorni media e tratta, contatta e offre. Ha smesso di rivendicare orgogliosamente che sarà «un segretario a tempo pieno e non dimezzato», si è detto disponibile mettersi da solo la data di scadenza (il congresso d’autunno) e ad azzerare tutti gli organismi e rifarli col massimo di «collegialità». Ha lavorato strenuamente su segretari regionali e amministratori locali, perché è dai «territori» che si sentiva montare la ribellione contro la sua nomina. Ha offerto loro di far parte a pieno titolo dello stato maggiore romano, di aver voce in capitolo sulle decisioni e sulle liste che di qui a poco toccherà allestire. E poco a poco ha ricompattato l’apparato su se medesimo, anche se con motivazioni opposte.
Perché veltroniani, rutelliani e un pezzo di ex Ppi puntano su di lui per «evitare di consegnare il partito alla deriva socialdemocratica, arrivando subito ad un plebiscito per Bersani». E sperano che nei prossimi mesi l’ex giovane Dc, da loro coadiuvato, riesca a spostare al centro l’asse del Pd e a far consumare e logorare le speranze di rimonta diessina. «Per evitare che la sconfitta alle Europee ricaschi sulle sue spalle - spiega un autorevole dirigente di quell’area - Bersani ha rinunciato a correre adesso. Ma il treno per lui rischia di non ripassare».

Bersani e i dalemiani, invece, pensano che la «reggenza» di un Franceschini ben presidiato dall’apparato possa essere un utile intervallo per spazzare via il ricordo del Pd «liquido» di Veltroni, fondato sul «rapporto taumaturgico tra il leader e le masse», come dice D’Alema, e ricostruire un partito «di

massa, con regole e strutture», sezioni e tesserati. Da pilotare verso i lidi della sinistra riformista europea. Tra i due litiganti, e a meno di colpi di scena all’assemblea di domani, l’unico a godere è Dario Franceschini.

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