RomaLa matematica non dovrebbe essere unopinione, ma nel Pd il condizionale è dobbligo.
I congressi dei «circoli territoriali» (ex sezioni) sono appena cominciati e andranno avanti fino al 30 settembre. Ma i candidati già litigano sui primi dati, relativi ad una quindicina di circoli: al comitato Bersani risulta che lex ministro sia in testa col 56% dei voti, al comitato Franceschini garantiscono che è in testa il segretario con un più moderato 50,4%. Il tutto su un totale di iscritti votanti pressoché ininfluente, ma variabile anchesso: 613 secondo i franceschiniani, 579 secondo i bersaniani.
A conti fatti, devono votare ancora circa 820mila iscritti al Pd, quindi i dati circolanti dalluna e dallaltra sponda sono significativi quanto le prime sezioni scrutinate dal Viminale la notte delle elezioni: praticamente zero. E però ci si azzuffa a colpi di comunicati e contro-comunicati e sospetti dimbroglio sulle cifre. A far infuriare lo stato maggiore franceschiniano è quella che definiscono «loperazione-immagine» di Bersani: «Cera un accordo per non diffondere dati prima che abbia votato almeno il 10% degli iscritti. Invece loro hanno subito cominciato a dire di aver già vinto», si spiega. Al Nazareno, sede centrale del Pd e del suo segretario, ci si è messi a caccia della «quinta colonna» che ha spifferato i dati, e i sospetti si sono subito appuntati sul capo dellorganizzazione Maurizio Migliavacca, ex fassiniano ora con Bersani. Che ha dovuto fare un comunicato riparatore per smentire di «aver mai fornito risultati».
Veri o finti che siano i dati dei primi circoli, comunque, in casa Bersani si è piuttosto ottimisti e certi della vittoria congressuale. «Il grosso del gruppo dirigente, anche sul territorio, sta con lui», nota il veltroniano Tonini, che sta con Dario. E sindaci, segretari provinciali e assessori regionali hanno il loro peso, ovviamente. Persino Romano Prodi, con discrezione (e in odio a Veltroni) gli sta dando una mano con le sue relazioni nel mondo imprenditoriale e bancario. Mentre il gruppo dei «non allineati» (Finocchiaro, Chiti, Morri), che si riunisce a Firenze domani, si appresta ad un endorsement per Pierluigi. «Ma le primarie sono un altro paio di maniche, lì vota chiunque in libertà», si consolano i franceschiniani.
Come che vada, però, uno spirito pacifista inizia a spirare dentro il Pd. Aleggia il fantasma del «grande inciucio», come lo definisce il terzo incomodo del congresso, Ignazio Marino. Che è il primo a farne le spese: da settimane chiede un pubblico confronto tra i tre candidati (come si fa in tutte le primarie che si rispettino), ma gli altri due hanno stretto un patto dacciaio. Niente confronto, «per rispetto della discussione nei circoli», si è avventurato a spiegare Bersani. Più brutalmente, gli uomini di Franceschini dicono: «Il confronto serve solo a Marino per avere visibilità e toglierci voti». Quindi, nisba. Lidea di fondo è che il partito non deve dividersi: chiunque vinca, si resta insieme, anche perché tra il congresso e le Regionali ci sono, come sottolinea un preoccupato DAlema, «solo pochi giorni». Un altro segnale di appeasement tra le due fazioni è arrivato ieri da Piero Fassino (che sta con Franceschini), che ha ufficializzato il via libera alla ricandidatura di Vasco Errani (che sta con Bersani) a governatore dellEmilia Romagna, contestata fino a pochi giorni fa in nome del «rinnovamento». E dunque, dopo il congresso, chi vince farà il segretario.
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