Il Pd sconfitto si spacca anche sul futuro di Intesa

Come spesso accade da più di 15 anni a questa parte, difficilmente Umberto Bossi non centra il bersaglio. Così, quando la scorsa settimana il leader della Lega ha detto che si sarebbe preso «le banche del nord», non ha fatto che scoperchiare il vaso di Pandora del credito italiano, dove dentro ci sta la politica. Apriti cielo, hanno pensato in molti. Eppure il mix dei risultati elettorali regionali e del rinnovo dei vertici di Intesa Sanpaolo ha mostrato in tutta la sua potenza il ruolo tuttora primario della politica. Lo ha evidenziato il sindaco di Torino, il pd Sergio Chiamparino, con un’intervista a Repubblica, in cui è apparso come il vero azionista della banca, al punto da rivendicare la scelta di Domenico Siniscalco per la presidenza del consiglio di gestione, al posto di Enrico Salza. Ma come? Allora ha ragione Bossi. Non a caso all’interno del Pd l’intervista di Chiamparino ha fatto clamore. Fino a spingere il vicesegretario Enrico Letta a parlare di «interventismo a gamba tesa della politica» che rischia di «dare a Bossi l’alibi per prendersi le banche, come ha detto di voler fare». Eppure è andata proprio così: quello che sta succedendo a Torino e in Intesa Sanpaolo è la conseguenza dello scossone politico delle regionali, che ha innescato la crisi del Pd locale nel clima già teso per i mal di pancia dei torinesi nella gestione del gruppo bancario.
Fino a prima delle regionali, tra gli azionisti torinesi (Compagnia di San Paolo), e quelli milanesi (Cariplo) di Intesa Sanpaolo si era raggiunto un accordo e per il prossimo consiglio di sorveglianza della banca le due fondazioni hanno presentato una lista unitaria, con 5 candidati a testa su un totale di 19. Tale mossa, fatta insieme dai presidenti delle due fondazioni, Angelo Benessia e Giuseppe Guzzetti, sanciva la «pace» tra Milano e Torino, dopo il lungo contrasto che vedeva i piemontesi scontenti per gli effetti della fusione tra San Paolo e Intesa, convinti di non aver avuto il giusto peso. Ma dopo le elezioni, vinte in Piemonte dalla Lega e perse dal Pd del governatore uscente, Mercedes Bresso, a Torino è saltata l’armonia. E all’interno della Compagnia - ente storicamente vicino al centrosinistra che però, presto o tardi, dovrà fare i conti con la Lega - le divisioni hanno preso il sopravvento su tutto. Lo stesso accordo fatto da Benessia solo pochi giorni prima è apparso in tutta la sua debolezza: a fronte del 10% del capitale di Intesa, Torino avrà lo stesso numero di consiglieri di Cariplo, che ha solo il 5%.
A quel punto bisognava alzare il tiro, e dovendo scegliere i candidati al consiglio di gestione, Benessia, ha indicato Siniscalco su pressing di Chiamparino; ma altre componenti dell’Ente (vicine alla Camera di Commercio) hanno proposto un altro nome, anch’esso in corsa per la presidenza: quello di Andrea Beltratti. E nessuno ha confermato Salza, gradito invece a Guzzetti. Una spaccatura interna. Dovuta anche alla scelta di Siniscalco, apparsa forzata. Si pensi che Benessia aveva rimosso in passato l’ex ministro del Tesoro dal Collegio Carlo Alberto e che in testa aveva altri nomi, come Iozzo e Ottolenghi.

Ma le esigenze della politica, l’arrocco del Pd torinese in vista dell’avanzata della Lega, hanno portato a una scelta di rottura, niente affatto condivisa dai milanesi. Ora, per il consiglio di gestione, è tutto aperto. Perfino che Torino possa perdere la presidenza. Unica poltrona di peso ormai rimastale.

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