RomaPiù che una scissione, per ora pare una lenta emorragia. Dopo il clamoroso addio di Francesco Rutelli al Pd, ne sono seguiti altri più silenziosi, alla spicciolata, tutti di area moderata.
Poi ieri è arrivato lannuncio di Dorina Bianchi: «Il Pd è stata una delusione, noi cattolici siamo ridotti al lumicino: dobbiamo prenderne atto senza infingimenti». E correre tra le braccia di Pier Ferdinando Casini, come farà lei.
Via unaltra. Ma il «malessere è vasto, tra gli ex Popolari», assicura Renzo Lusetti, ex dc entrato a suo tempo nella Margherita. Che lo spiega così: «Nel Pd tutti i gangli vitali di un partito, dallorganizzazione agli Enti locali, dallinformazione alla tesoreria fino alla segreteria, sono in mano a ex ds: sembra il Pcus. Non si può più dire che sia un partito di centrosinistra, con o senza trattino, è un partito di sinistra e basta». E per gli ex dc diventa difficile restarci, ammette Lusetti e con lui parecchi altri. Non nasconde il suo pessimismo neppure Enzo Carra: «Luscita della Bianchi è una sconfitta per il Pd, il progetto originario di amalgama è sempre più indebolito. Mi auguro che Bersani corra ai ripari, non ha molto tempo per farlo», avverte.
In realtà, la decisione della senatrice (nota alle cronache per i suoi scontri con Ignazio Marino sul testamento biologico, su cui lei aveva posizioni vicine al centrodestra) ha preso di sorpresa i tanti «cattolici in crisi» che in queste settimane stavano meditando un futuro strappo di gruppo col Pd bersaniano. Lei ha battuto tutti sul tempo, trattando in proprio con lUdc e assicurandosi il futuro: cè chi spiega che le è stata promessa la vice-presidenza del gruppo, oltre ovviamente ad una rielezione che difficilmente il Pd si sarebbe accollato. Vatti a fidare delle anime pie.
Le reazioni dei vertici Pd sono assai tiepide: sulladdio della Bianchi, che come dice un parlamentare vicino al segretario «di voti non ne porta nessuno, di guai tanti», nessuno versa lacrime. «Mi spiace per la sua decisione - dice Bersani - ma in questa sua posizione non cè accettazione della sfida: avere proprie idee ma saper anche stare in un collettivo». Ancor più secca Rosy Bindi, che nella maggioranza Pd rappresenta appunto lanima cattolica: «Se si intende la propria cultura in modo identitario e non si cerca la sintesi, si possono compiere altre scelte. Ma senza darne la colpa al Pd». La Bindi, ribattono i dissidenti, è tra quei cattolici che «come Letta o Franceschini, si sono sistemati nella stanza dei bottoni» del Pd bersaniano, e dunque non hanno alcuna voglia di uscirne. Ma quelli che sono rimasti un po ai margini, come Peppe Fioroni o Franco Marini, che faranno? «Di certo non muoveranno un dito fino alle regionali», spiega Lusetti. Ma di certo non sono a proprio agio. Marini esprime apertamente le sue critiche al partito, e mette spesso nel mirino proprio i suoi ex compagni di strada Franceschini e Bindi. Fioroni si dedica al settore che gli ha affidato Bersani (il welfare) ma morde il freno. Daltronde, la stessa Bianchi riconosce a Bersani di essere stato eletto col «mandato di rafforzare lancoraggio a sinistra» del Pd. «E lo sta facendo bene - ammette Lusetti - i sondaggi sono buoni e il Pd sta recuperando voti a sinistra e pure rispetto allIdv. Ma noi ci sentiamo sempre più indipendenti di centro nel partito». E da fuori Rutelli soffia sul fuoco del malumore interno: «Lagenda della sinistra la fanno Di Pietro & Co., e il Pd va loro appresso».
Non abbastanza per Repubblica, però, che teme molto certe aperture di dialogo dalemian-violantiane al centrodestra. Ezio Mauro, intervistato da Sky, rimprovera severo: «Bersani ha fatto male a non partecipare al No B-day. Certe volte sembra che il Pd e la sua base abbiano avversari politici diversi».
La ramanzina del direttore di Repubblica (subito approvata da Veltroni), Bersani se la aspettava.
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