Roma - Il Pd è tornato: il grande sonno agostano è stato rotto dal redivivo Walter Veltroni con una paginata di piombo sul Corriere della Sera (contro la «santa alleanza» anti-Cavaliere in cui si vorrebbe infilare tutti, da Fini a Vendola), e tanto è bastato per riaprire la guerra sulla la premiership - virtuale, naturalmente - e sulle alleanze future.
Per qualche settimana, il principale partito di opposizione era riuscito a scomparire dai radar della politica, regalando tutta la ribalta alle sanguinose faide in seno al centrodestra. Una scelta fatta di proposito, lasciavano intendere gli strateghi del partito, per risparmiare agli italiani le proprie perenni beghe interne e rendere, per contrasto, ancora più visibili le lacerazioni della maggioranza.
Ottima idea, anche se il lungo silenzio è costato ai poveri democrat una lunga serie di rimbrotti e sarcasmi da parte di commentatori dei giornali, alleati e avversari.
In ogni caso, non poteva durare più di tanto, e infatti è finita. Pier Luigi Bersani, in vacanza in Sardegna, si è accorto a proprie spese della saggezza del vecchio proverbio sui topi che ballano, in assenza del gatto. E ieri ha mandato il fido Filippo Penati a sparare un colpo in sua difesa: basta chiacchiere su candidati e primarie, un leader c’è già e si chiama Bersani, «vorrei ricordarlo a tutti», ed è pure «l’unico scelto col metodo delle primarie». Dunque, «chi si candida si assume la responsabilità di aver diviso questo partito in un momento in cui bisogna invece cercare unità». Poi, per sottolineare che la ricreazione era veramente finita, Bersani si è presentato in carne e ossa e abbronzatura al Tg1 per zittire Veltroni: non basta il centrosinistra contro il perfido Cavaliere, il Pd vuole «lanciare un appello a tutti quelli che sono preoccupati per la nostra democrazia e pensano che le regole vengano prima del consenso».
Ma ricacciare l’ondata di aspiranti candidati non sarà facile per Bersani: c’è Nichi Vendola (che ieri ha chiesto che le primarie siano fatte subito, e che a detta di molti nel Pd rischia pure di vincerle), Sergio Chiamparino (additato come il candidato di Walter e di Repubblica, magari in tandem con Nichi), Enrico Letta (lanciato da Chiamparino, con sua grande irritazione perché il vice di Bersani, come lo zio Gianni, preferisce il low profile), Tonino Di Pietro (lanciato da se stesso), Nicola Zingaretti (che smentisce con sempre minor convinzione di esserci). I nostalgici dell’Ulivo hanno pure riesumato il nome di Romano Prodi.
La «lettera al Paese» di Veltroni ha fatto anche pensare ad un ritorno in pista dell’ex leader. Ma l’intento principale dell’esternazione di Veltroni sembra però (cosa anch’essa consueta a sinistra) quello di regolare qualche conto interno. Walter, prendendosi i complimenti dal Pdl, ha bocciato l’idea della «santa alleanza» anti Berlusconi, da Fini a Vendola. Un siluro a Bersani, ma soprattutto a Dario Franceschini, ex braccio destro di Walter e oggi capogruppo, che aveva appena rilanciato la «santa alleanza». E che è oggi in rotta di avvicinamento con la maggioranza bersanian-dalemiana: «Col rischio elezioni, nessuno vuol trovarsi nella minoranza del partito, per avere voce in capitolo sulle liste», spiega un dirigente Pd.
Franceschini starebbe siglando l’accordo con la segreteria sulla testa dei veltroniani superstiti: a metà legislatura in Parlamento si cambiano i capigruppo e i vicepresidenti di commissione, e lui vorrebbe salvare i suoi offrendo ai bersaniani la testa dei protetti di
Walter. Dalemiani e franceschiniani ieri hanno picchiato uniti contro Veltroni. Mentre gli ex Ppi di Fioroni, in rotta di collisione con Franceschini, lo hanno applaudito. Agosto è finito, il caos è appena ricominciato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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