Roma - L’incontro con Gianfranco Fini è finito da qualche minuto quando Silvio Berlusconi si lascia andare per un attimo sulla poltrona del suo studio a Palazzo Grazioli. «Finalmente il cerchio si chiude», dice soddisfatto ai suoi pochi interlocutori disegnando nell’aria un’immaginaria circonferenza. Perché, spiega, «come sempre ho avuto ragione». Non solo sul Popolo della libertà - vagheggiato fin dai tempi di Palazzo Chigi quando di tanto in tanto buttava lì «il sogno di lasciare come eredità politica un partito unico del centrodestra» - ma pure sui destini del governo Prodi e sulle tanto invocate elezioni anticipate. «Avevo detto che sarebbero implosi - va avanti a ragionare - e il governo è caduto, avevo detto che si sarebbe tornati presto alle urne e si voterà ad aprile, avevo detto che avrei fatto il Popolo della libertà e così sarà». Con buona pace di chi nel 2005 accolse l’idea del partito unico come una delle tante suggestioni del Cavaliere o quanti, alleati compresi, ancora a gennaio ironizzavano sulle fallite spallate e presagivano un Prodi in sella fino al 2009. «Quante ne ho dovute sentire...», è la sua chiosa ironica.
Così, ci sta che lasciando Palazzo Grazioli accolga il nugolo di giornalisti che gli si fanno incontro con uno squillante «avete visto?». Con tanto di sorriso. Per il Cavaliere, infatti, si tratta di una di quelle giornate da segnare sull’agenda e raccontare ai nipotini. Tanto che durante la stretta di mano che suggella l’intesa con Fini l’ex premier è piuttosto eloquente: «Ti rendi conto, Gianfranco, che stiamo scrivendo la storia?». Tutt’altro clima rispetto a poco più di un mese fa, quando il leader di An non esitava a parlare di «favola finita» e «rapporto irrecuperabile». Al punto che ieri ha raccolto la sfida rilanciando proprio quel progetto di cui il Cavaliere ragiona dal 2005. «Non sarà solo un patto elettorale - assicura il leader di An - ma un’intesa che dopo le elezioni dovrà sfociare nel partito unico». Che gli garantirà l’ingresso nella casa del Ppe e pure la possibilità di scegliere se cimentarsi ancora con un incarico di governo o magari dedicarsi a tempo pieno al nuovo partito qualora il Cavaliere tornasse a Palazzo Chigi.
Un’operazione che al momento ha pochissime sbavature. E che gli consente di presentarsi alle prossime elezioni con un «prodotto» tutto nuovo e non con la vecchia Cdl - ossia con i quattro simboli dei soci fondatori - che avrebbe potuto dare l’impressione di un déjà vu. Nuovo come lo slogan che terrà banco per tutta la campagna elettorale, accennato ieri in più d’una occasione: quel «Rialzati Italia» che fra qualche settimana campeggerà sui manifesti delle città di tutto il Paese. Al massimo, dunque, le liste sulla scheda saranno tre, nonostante il Cavaliere speri ancora di limitarle a due: il Popolo della libertà (con la scritta «Per Berlusconi presidente») e la Lega che, vista la sua specificità di partito territoriale resta federata ma fuori dal Pdl. Dove entrano invece la DcA di Rotondi, il Pri di Nucara, il Nuovo Psi di Caldoro, i Riformatori liberali di Della Vedova, i Liberaldemocratici di Dini, i Pensionati di Fatuzzo, Alternativa sociale della Mussolini e la Fiamma di Romagnoli. E pure le adesioni di Udeur e La Destra - seppure ancora non ufficializzate - vengono date per acquisite (la prima più della seconda). Insomma, dodici formazioni in tutto. Il terzo simbolo, dunque, potrebbe essere anche quello dell’Udc, con cui da ieri è in corso un’estenuante trattativa. Il Cavaliere li ha infatti invitati a entrare nel Pdl e pur avendo detto che l’alternativa è tra l’ingresso tout court o la corsa in un’altra coalizione sembra che di margini ce ne siano ancora. Tant’è che Bonaiuti in serata rifiutava l’interpretazione delle parole dell’ex premier come un aut aut a Casini.
Se sulla scheda della Camera i simboli dovrebbero dunque essere due o tre, certamente diversa sarà la situazione al Senato dove il premio di maggioranza è regionale. È pressoché certo, infatti, che in alcune regioni in bilico il Pdl si presenterà insieme con qualche altro simbolo. Ovviamente a seconda delle zone. La DcA, spiegava ieri Rotondi, dovrebbe per esempio correre in Campania, mentre La Destra di Storace nel Lazio. Una partita che si potrà davvero studiare nel dettaglio solo quando si avrà certezza della collocazione dell’Udc.
Di certo, dunque, per il momento c’è che Berlusconi è riuscito a segnare un punto decisivo sulla via del partito unico. Evocato nel faccia a faccia di Palazzo Grazioli pure da Fini come il «prossimo passo» da fare. Il Cavaliere, però, sta di fatto portando a casa un’altro risultato decisivo, contribuendo a mettere nero su bianco i termini di una vera e propria transizione della politica italiana.
È chiaro, infatti, che se la corsa elettorale sarà polarizzata sulla sfida tra Pdl e Pd sarà poi su queste basi che ci si siederà intorno a un tavolo per riscrivere la legge elettorale prima del referendum. «Mi hanno accusato di non voler cambiare la legge elettorale - confidava non a caso il Cavaliere a un suo collaboratore - e invece la rivoluzione è nei fatti...».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.