Roma Un finiano gongola: «Abbandonano il Titanic prima che affondi definitivamente». Un altro graffia: «Da noi c’è posto per le idee, vengano pure i delusi pidiellini ma... Le porte aperte, per adesso, le trovano soltanto gli ex Forza Italia. Con gli ex An faremo i conti più in là». Acredine sedimentata per mesi che ogni tanto sgorga tra ex camerati. Di fatto il Fli s’ingrossa. Almeno dal punto di vista parlamentare, visto che ieri si sono sganciati altri due pezzi del Pdl: Roberto Rosso e Daniele Toto. Il gruppo futurista alla Camera passa quindi a 37. Ma guai a chiamarla campagna acquisti sebbene gli ultimi arrivati abbiano ottenuto subito posti di potere rilevanti.
Il primo, piemontese, sangue democristiano nelle vene, quando Martinazzoli sciolse la Dc e partorì il Partito popolare italiano, corse da Berlusconi. In quegli anni, in Piemonte, Forza Italia era lui. Coordinatore regionale nel 1999, candidato sindaco di Torino nel 2001, perse contro Sergio Chiamparino ma quattro anni dopo entrò al governo come sottosegretario al Lavoro e alle politiche sociali. Fondò il movimento Italia e Libertà, sorta di cugino dei circoli di Dell’Utri. Rieletto due anni fa col simbolo Berlusconi presidente, oggi passa con Fini e dice: «Per me Silvio è stato un padre politico. Purtroppo, però, pur avendo promesso cose importanti, nel Pdl non siamo riusciti a realizzarle». Attacca: «Basta coi maggiordomi in livrea. La verità è che nel Pdl sono bravissimi dal punto di vista commerciale e basta. La nostra sfida è prendere un voto in più del Pdl». Mancava dicesse che Forza Italia era un partito di plastica e Berlusconi un Nerone. Nonostante ciò al Giornale confida: «Ho sentito Berlusconi e gli ho spiegato le mie ragioni. Era dispiaciuto ma è stato cordiale, cortese, gentile e molto garbato. Certo, ha cercato di farmi cambiare idea ma non c’è stato verso».
Rosso, sponsorizzatissimo da un democristianone storico come Vito Bonsignore, imposto nel listino bloccato alle ultime elezioni regionali in Piemonte, è stato vicepresidente della giunta regionale per pochi mesi. In pessimi rapporti con il governatore Cota, Rosso è stato al centro di dure polemiche perché alcuni suoi fedelissimi sono finiti nell’inchiesta sulla maxitruffa dei call-center. I finiani fanno spallucce e dicono che in fondo Rosso è forte e si porterà con sé un sacco di gente. I pidiellini sorridono: la base sta tutta con i lealisti il cui zoccolo duro è rappresentato da Osvaldo Napoli, Enzo Ghigo, Agostino Ghiglia e Guido Crosetto. E proprio Ghigo e Ghiglia lo hanno bacchettato: «Siamo increduli di fronte a vaniloqui sul liberalismo e sul Pdl, partito grazie al quale oggi Rosso può permettersi di tradire il mandato elettorale transitando in un altro partito». E lui di rimando: «Miserabili». Insomma, volano gli stracci. A l’ex forzista Rosso, comunque, Fini dà le chiavi del Fli in Piemonte.
E poi c’è Daniele Toto, giovane imprenditore, alla prima legislatura, l’uomo-grimaldello per togliere di mezzo la grana Giampiero Catone. Quest’ultimo, passato al Fli in settembre, aveva provocato un putiferio tra le fila dei finiani. Napoletano, ex braccio destro di Buttiglione, chiacchieratissimo, ha fatto venire l’orticaria alla base ma non solo. A causa sua il vicepresidente della giunta regionale abruzzese, Alfredo Castiglione, ha fatto le valigie ed è tornato nel Pdl. Toto ha di fatto scalzato Catone nella guida delle truppe finiane in Abruzzo e sarà coadiuvato da Emilio Nasuti il quale aveva chiesto la testa dello stesso Catone. Testa saltata. Bisognerà capire adesso gli umori e le richieste dell’ex democristiano, primo defenestrato da Fini.
Daniele Toto è comunque considerato un osso duro: nipote di Carlo, patron dell’Air One, fa parte della cosiddetta aristocrazia della costa abruzzese. Da tempo in polemica con la triade abruzzese composta dai senatori Pdl Piccone, Tancredi, Di Stefano, Toto s’è messo in rotta di collisione soprattutto con il governatore Gianni Chiodi.
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