Pechino fa marcia indietro sul porno

Con una marcia indietro in extremis, la Cina ha rinviato ieri l’entrata in vigore del contestato decreto che impone l’installazione su tutti i personal computer venduti nel Paese di un nuovo filtro antiporno. L’annuncio è arrivato poco prima della mezzanotte del 1° luglio (ora locale), quando sarebbe dovuto scattare l’obbligo di installazione sui pc del software, chiamato «Green Dam - Youth Escort».
Stando a un comunicato del ministero dell’Industria e dell’Informatica, la causa del rinvio starebbe nella difficoltà incontrata dai produttori di rispettare i tempi di consegna previsti. L’annuncio del decreto, due settimane fa, aveva provocato una pacata ma decisa ribellione di migliaia di utenti di Internet, che avevano inondato i blog e le chatline di interventi di condanna di quella che l’83 per cento di un campione di consumatori, interpellati da un quotidiano, hanno giudicato una «grave intrusione» nella loro sfera privata. Le contestazioni avevano raggiunto il loro culmine con la proposta, lanciata alla fine della scorsa settimana dal popolare artista Ai Wei Wei, di un «boicottaggio» della rete per una giornata: quella del 1° luglio.
Contro il «Green Dam» (Diga Verde) si erano schierati tutti. Gli utenti avevano denunciato il rallentamento di tutte le operazioni del pc, una volta installato il programma che, tra l’altro, esporrebbe il computer ad attacchi di numerosi virus. Il Dipartimento del commercio americano, da parte sua, aveva sollevato il dubbio che le autorità cinesi in realtà volessero favorire l’industria nazionale, imponendo ai costruttori stranieri un costo aggiuntivo in tempi brevi. Il sospetto è sembrato confermato dall’attacco improvviso sferrato da Pechino contro il motore di ricerca americano Google, accusato di «diffondere materiale pornografico».

Il rinvio dell’entrata in vigore del decreto era stato chiesto alla fine della scorsa settimana anche dalla Commissione europea.
I 300 milioni di internauti cinesi devono già vedersela con una pesante censura esercitata attraverso un «superfiltro» noto come «la grande muraglia di fuoco», che blocca l’accesso a siti sgraditi al regime.

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