Penati promise 40 campi nomadi, è già sceso a 6

Bocche cucite sulle aree, forse in tangenziale: scatenerebbero i piccoli Comuni dell’Ulivo

Gianandrea Zagato

Di aree per i nomadi ne aveva promesse quaranta. Impegno niente male, quello firmato dall’assessore all’Integrazione sociale della Provincia di Milano. Certezza che Francesca Corso aveva però dato solo se e quando Palazzo Isimbardi fosse divenuto «regista» dell’operazione «nomadi». Allora, quaranta comuni su 189 della Provincia avrebbero accolto «non più di 50-60 persone» in altrettanti campi per «arrivare all’integrazione che è il nostro vero traguardo». Campetti, naturalmente, «dotati dei comfort indispensabili e magari di prefabbricati».
Assicurazione fatta al tavolo prefettizio dello scorso 24 maggio - quello con la Provincia chiamata in causa dal comune di Milano per affrontare l’emergenza rom - e accolta con soddisfazione da Palazzo Marino al collasso. Che, quindi, non respinge l’aiuto della Provincia, «i campi in città sono troppi, non possiamo fare tutto noi» chiosa il vicesindaco Riccardo De Corato. Tutto bene, quindi, se non per un dettaglio, un piccolo dettaglio: è passato un mese dall’uscita assessorile e di quelle quaranta aree non si è più saputo niente. E niente si è più saputo anche dei tanti sbandierati tavoli - «entro il 15 giugno» aveva promesso l’inquilino di via Vivaio - con le amministrazioni comunali della Provincia. Nessun stupore, è la politica delle parole. Quella che, in quei giorni, spinse a spellarsi le mani per il «risultato raggiunto»: «Per anni abbiamo proposto campi piccoli e attrezzati decorosamente e collaborazione attraverso il coordinamento della Provincia» dichiaravano orgogliosamente diessini e margheriti. Tutti dimentichi che, tre anni prima, a sbattere la porta in faccia al sindaco Gabriele Albertini era stato il coordinatore dei sindaci della Provincia ovvero il diesse Daniela Gasparini, oggi assessore della giunta Penati. Altra sfaccettatura della politica che si può facilmente ingoiare in cambio di quaranta-campi-quaranta.
Che, sorpresa, il presidente della Provincia Filippo Penati riduce a sei. All’appello ne mancano così trentaquattro. Vabbé, non è proprio un giochino da ragazzi trovare le aree per ospitare i nomadi e, comunque, Palazzo Isimbardi ne ha identificate sei che per Milano vogliono dire un po’ di rom in meno sul territorio comunale. Ma qui inizia un altro gioco, quello del silenzio: la Provincia non dice dove sono questi campi. Strategia di basso profilo ma politicamente comprensibile: Penati vuole evitare lo scoppio delle polemiche tra l’amministrazione provinciale e gli abitanti dei comuni dell’hinterland, quasi tutti guidati dal centrosinistra. Difficile far digerire sei campi nomadi su aree che, secondo indiscrezioni, sarebbero individuate su terreni adiacenti alla Tangenziale milanese: «Tre nel comune di Milano e tre in comuni della prima fascia» si lascia sfuggire l’assessore Corso. Risultato: «Siamo contenti per la disponibilità data da tre amministrazioni comunali della Provincia e un po’ meno per il nuovo carico destinato a Milano. Che, conseguentemente, non può che trarre una conclusione: Penati e i suoi boys non hanno compreso un’acca non solo delle richieste fatte dalla giunta Albertini ma neppure del grido d’allarme lanciato dal prefetto Bruno Ferrante, “Milano ha ragione a dire che non può più fare da sola“» commenta amaro Manca.


Ennesima prova, dunque, «dell’indisponibilità della Provincia a farsi carico di un problema sociale e lasciarlo sulle spalle della sola giunta milanese». Prova che, per il presidente della Provincia Filippo Penati, andare oltre Triboniano è impensabile.

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