Pennisi collabora con i pm e spiega il giro del denaro

Lungo interrogatorio a San Vittore per il consigliere comunale arrestato mentre incassava una tangente da un imprenditore

Nei progetti della Procura, per Milko Pennisi era pronto lo stesso trattamento riservato all’ex assessore regionale allo Sport Piergianni Prosperini: qualche mese di carcere preventivo, processo-lampo in stato di detenzione, condanna, ancora carcere. Ma Pennisi - fino al momento dell’arresto presidente della Commissione Urbanistica del Comune - messo davanti a questa prospettiva ha deciso di non sentirsi del tutto pronto ad infilarsi in un simile tunnel. E così, dalla sua cella di San Vittore, ha fatto sapere ai magistrati di voler spiegare qualcosa in più, rispetto a quanto aveva ammesso a botta calda, dopo l’arresto.
Così ieri Grazia Pradella e Laura Pedio, due dei tre pubblici ministeri che conducono l’indagine sull’affare Pennisi, vanno in carcere ad incontrare l’ex consigliere comunale. Ne escono tre ore dopo, con l’aria di chi ha compiuto un significativo passo avanti nelle indagini. Appaiono soddisfatte, le due pm. Ma anche combattive. Come se l’interrogatorio di Pennisi, più che a chiudere un capitolo sia servito ad aprirne un altro.
Sul tavolo, verosimilmente, ci sono i risultati delle analisi dei conti correnti di Pennisi, sequestrati all’indomani del suo arresto. Nelle scorse settimane, una serie di articoli di stampa avevano anticipato i risultati di queste analisi. Sui suoi conti correnti, l’ex consigliere comunale avrebbe effettuato versamenti per contanti con regolarità, ogni volta per migliaia di euro, incompatibili con le sue entrate ufficiali. Le indiscrezioni non avevano trovato conferme in Procura anche perché - almeno sul piano formale - l’analisi dei conti di Pennisi non era ancora cominciata.
Adesso, invece, l’analisi c’è. E conferma che sui conti dell’indagato sono affluiti un sacco di soldi, spesso in contanti. Davanti a queste prove, Pennisi deve prendere atto che per lui i guai non si limitano ai diecimila euro in due tranche che gli sono stati versati da Mario Basso, l’imprenditore bresciano interessato a un business edilizio alla Bovisa. Nei primi due interrogatori dopo l’arresto - davanti ai pm e davanti al giudice preliminare - il cinquantenne esponente del Pdl aveva giurato che la mazzetta ricevuta da Basso era stata la sua prima «marachella». Non è che i magistrati ci avessero creduto granché. Ma l’analisi delle contabili bancarie rende quella tesi ancora meno sostenibile.
Così Pennisi sceglie di giocare d’anticipo e chiede l’interrogatorio. Cosa si dicono, nelle due ore e passa a San Vittore, l’indagato e le sue accusatrici? Sullo sfondo ci sono ovviamente le altre delibere assunte dalla Commissione Urbanistica sotto la presidenza di Pennisi, e che gli investigatori della polizia giudiziaria hanno passato una ad una, alla caccia di anomalie, incongruenze, brusche accelerazioni. Ma ci sono anche le affermazioni che Pennisi avrebbe fatto all’imprenditore Basso, quando gli spiegò la necessità di oliare la pratica col fatto che doveva pagare anche altri politici.
Pennisi, va ricordato, finora aveva negato di avere mai pronunciato quelle frasi, e aveva ricostruito in modo del tutto diverso la trattativa con Basso: «Non fui io a chiedere soldi ma lui ad offrirli».

E d’altronde anche se Basso dice il vero, anche se Pennisi ha davvero parlato di altri appetiti da soddisfare, poteva comunque trattarsi di una millanteria, di un trucco per alzare il prezzo. Oppure è tutto vero, e il biondo ex liberale non era l’unico a fare la cresta sulle licenze edilizie. Qual è la verità? Ieri, a San Vittore, Pennisi ha cominciato a fare luce.

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