Roma - Il rinvio a settembre della riforma delle pensioni si fa concreto, e i sindacati lanciano l’allarme: uno slittamento è inaccettabile, significa un accavallamento con la Finanziaria, e soprattutto - in caso di mancato accordo - c’è il rischio che rimanga in vigore lo scalone Maroni, che prende il via l’1 gennaio 2008. «Io lavoro con l’obiettivo di chiudere la partita entro giugno», giura Cesare Damiano. Ma neppure il ministro del Lavoro appare convinto delle sue parole, perché aggiunge: «Naturalmente, la realtà è più dura della fantasia».
Oggi, la questione dello scalone pensionistico è uno dei temi caldi dell’incontro fra il governo e le parti sociali a palazzo Chigi. L’idea di un doppio binario - gli aumenti alle pensioni basse in luglio, con un decreto, e la revisione dello scalone in un secondo momento - è inaccettabile per Cgil, Cisl e Uil. Lo scalone, che porta da 57 a 60 anni l’età minima per il pensionamento anticipato, si deve abolire subito, dicono. Il problema è che il governo non ha ancora una proposta da presentare, perché nella maggioranza le idee sono contrastanti: l’estrema sinistra spinge per l’abolizione dello scalone «senza se e senza ma», Damiano e la Margherita puntano a un meccanismo più «dolce», cioè gli scalini. Il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa va ancora più in là, ricordando che la riforma Maroni offre risparmi cospicui, che bisogna comunque garantire. Romano Prodi la vede diversamente: sulle pensioni, dice in tivù, «il governo ha una posizione unitaria, ma le risorse sono limitate».
Il sindacato però non crede alle buone intenzioni del premier e dei suoi ministri sulle pensioni, anche perché voci e sussurri sul rinvio sono giunte nelle sedi delle confederazioni prima che si concludesse il vertice di maggioranza. «Il governo non ci ha presentato una proposta, e rinviare a settembre la riforma è per la Cgil inaccettabile: significherebbe trattare con la pistola puntata alla tempia», attacca il segretario confederale Morena Piccinini. Per il «numero due» della Cisl, Pierpaolo Baretta, lo slittamento è «una sciocchezza, un’occasione persa». L’accavallarsi della questione pensioni con la Finanziaria complicherebbe molto le cose, rendendo difficile l’accordo. «Per noi, adesso o a settembre fa o stesso, purché lo scalone si abbatta; in caso contrario non escludiamo lo sciopero», taglia corto Domenico Proietti della Cisl. «Il governo deve mantenere gli impegni» ricorda il segretario dell’Ugl, Renata Polverini. Appare davvero singolare, in questo contesto, quanto dice la capogruppo dell’Ulivo al Senato, Anna Finocchiaro: «Sullo scalone è tutto rimandato a un accordo che si sta tessendo con il sindacato». Se le dichiarazioni degli esponenti di Cgil, Cisl e Uil sono genuine, e non tattiche, quello fra governo e sindacati è un dialogo fra sordi.
Non si spiega diversamente il fatto che la riforma delle pensioni, da farsi entro il 31 marzo secondo gli impegni presi nel memorandum governo-sindacati, sia ancora ferma al palo. «Andare in pensione a 57 anni è un assurdo biologico - ricorda Tiziano Treu, presidente ulivista della commissione Lavoro del Senato -: occorre spostare l’età verso i 65-70 anni».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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