Il Pentagono ha aperto un’inchiesta penale

Il Pentagono apre un’inchiesta penale sul dossier di Wikileaks. «Non c’è nulla di nuovo, anzi, sono proprio queste considerazioni che lo scorso autunno mi hanno convinto a cambiare strategia», ha detto alla Casa Bianca il presidente Barack Obama, criticando per la prima volta esplicitamente la valanga di documenti che si è riversata in anteprima sulle scrivanie di New York Times, Guardian e Spiegel e poi ieri nelle redazioni dei giornali di mezzo mondo.
«Sono preoccupato per l’effetto che i documenti potranno avere sulla sicurezza di singole unità o singoli soldati», ha detto Obama, mentre la Casa Bianca ha minimizzato la portata del maxi-scoop che Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, ha paragonato ai «Pentagon Papers», la storica fuga di notizie che nel 1971 cambiò il corso della guerra in Vietnam.
Non ci saranno forse pistole fumanti capaci di riportare subito i soldati americani a casa. Ma l’impatto delle rivelazioni sull’opinione pubblica è stato forte e imporrà al presidente di ripensare la guerra in un momento di crisi nei sondaggi (è al 48% secondo quello più recente) e mentre in Congresso sta per essere messo ai voti il rifinanziamento della missione.
Lo scoop è arrivato in un momento particolare. Il Pentagono ha affidato l’inchiesta sulle fonti di Assange alla stessa unità di intelligence criminale dell’esercito che sta indagando sul giovane soldato Bradley Manning, accusato di aver passato a Wikileaks il video dell’attacco di un elicottero Apache a Bagdad in cui hanno perso la vita numerosi civili tra cui un fotografo della Reuters.

Manning è oggi agli arresti in Kuwait, ma non è detto che sia stato lui: secondo fonti del Pentagono migliaia di persone potrebbero avere le password per accedere a documenti come quelli messi in piazza da Wikileaks. A causa delle difficoltà sul terreno e dell’aumento delle perdite, il dibattito sulla presenza americana è cominciato prima del previsto: i dubbi serpeggiano anche all’interno dell’amministrazione.

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