Perché chiamare spettacolo un para-gioco?

di Giovanni Gavazzeni
Neppure il barometro domenica avrebbe mantenuto la temperatura emotiva entro i livelli di guardia. Cosa succederebbe se la sfida della Madonnina avvenisse in periodi più accoglienti, come le tiepide sere di primavera? Penetrare verso quello che impropriamente viene chiamato «la Scala del calcio» - parliamo di S. Siro - desta impressioni curiose. Decine di furgoni stipati ogni dove, luci accecanti, maleodoranti effluvi soffocano il piazzale antistante lo stadio, trasformando quello che nei giorni di calma è un quartiere residenziale in una versione postmoderna di un suk, però italiota. Ogni sorta di carta stracciata pavimenta il percorso. Si butta per terra tutto e crepi il mai abbastanza civile istituto della raccolta (figuriamoci della «differenziata»). Si ha l’impressione, meglio la certezza, che stiamo varcando una zona dove i principi del vivere, appunto civile, sono sospesi, annullati, peggio, ignorati. E tutto questo avviene fra nuguli di forze dell’ordine, capi e capetti, controllori, sub-controllori e addetti di ogni sorta (ammortizzatori sociali?). L’importante è scongiurare che la «perduta gente» se le dia di santa ragione, perché sappiamo, quando si parla di intermilan o milaninter, c’è di mezzo la fede. E la fede, si sa, fa Miracoli.
Usiamo una perifrasi poetica, ma per lavoro professionale ci occupiamo di esecuzioni musicali, varcate le forche caudine - i famosi «tornelli» - ascendiamo le vetuste e scalcinate rampe dello stadio per raggiungere la «riserva» che le società assegnano ai signori dei mezzi di comunicazione di massa. Ai miei lati due cordiali e competenti rappresentanti del Giornale, Franco Ordine e Riccardo Signori, che mi accolgono con ospitale colleganza. Sorprende il rumore, ma non è quello che sarebbe naturale, della folla. La radio dello stadio infligge il peggio del pop italico a volumi disumani. Le opposte tifoserie urlano i loro inutili slogan che non si sentono, perché imperversa un tormentone: «Falla girare». Si parla sempre di palle. I poveri ex-ultras devono ricorrere agli striscioni, dove rifulge la «genialità tifosa». Ce n’è per tutti. Dai messaggi di saluto interpersonali allo stile erotico-bamboccione di Federico Moccia, da quelli che riassumono con precisione giornalistica i fatti della settimana politico-calcistica alle autentiche, seppur rare, battute di spirito. Uno striscione paragonava il commissario tecnico della nazionale Marcello Lippi, al mammifero artiodattilo addomesticato che gli antichi sacrificavano alla dea Maia, il maiale. Colpevole di non aver reso visita alla squadra capolista, in cui militano oltre a vari Wesley, Esteban, Diego, Alì, anche un Davide (Santon) e un Mario (Balotelli). Ricordiamo che l’ameno ritiro neroazzurro di Appiano porta sulla carta l’aggettivo di Gentile.
Lo spettacolo del derby - striminzito nel gioco e opulento nel risultato a favore dell’Inter - è una recita di para-gioco. Qualunque scontro si trasforma in una disputa; tutto è contestato platealmente con sketch da far impallidire la benemerita sceneggiata. Un produttore potrebbe affidare la compagnia al portoghese Mourinho, un diavoletto agitatore che accompagnava il quarto uomo come il gatto con il topo, e dettava registicamente le entrante ai figuranti. Materazzi ha mostrato durante il meritato tripudio una maschera come nel film Point Break faceva la banda degli ex-presidenti. All’intelligenza dei lettori lasciamo indovinare a quale presidente si riferiva. Come diceva Ludovico Ariosto: «fu il vincer sempre mai laudabil cosa». Sull’altra sponda, il profeta del futebol bailado rimaneva senza il suo amato samba. Parliamo di Leonardo, autentico attore amoroso, che sciorinava flemma più anglo che brasilera. Purtroppo per lui, al contrario, la sua compagnia si esibiva nel ballo del mattone.
Sospinti alla conclusione fra proteste e scene gladiatorie abbiamo sentito irresistibile il desiderio di prendere prossimamente un aereo e andare a goderci una partita in uno stadio inglese, dove è stato risolto il problema dell’ordine, anche a partire dal decoro e dall’accoglienza delle sedi.

Nel Belpaese l’incuria in cui giacciono gli stadi italiani (ed eravamo alla Scala pedatoria!) è davvero riprovevole. E c’è ancora qualcuno che si domanda perché sono in aumento gli abbonamenti dei pacchetti del calcio comodamente casalingo?

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