Perché non muore quella strana signorina Giulia?

Diverte la versione teatrale di Maurizio Nichetti di «Tootsie»

Enrico Groppali

Fin dal suo apparire, sullo scorcio del diciannovesimo secolo, Signorina Giulia sollevò uno scandalo di tale portata da decretarne insieme il distinguo come il successo. Si era mai visto prima sulla scena europea un dramma in cui un'aristocratica di belle maniere dopo aver sadicamente torturato un fidanzato del suo rango, seduce un servo la notte di San Giovanni e subito dopo, non reggendo alla degradazione del suo status, per paura di essere rimasta incinta decide di togliersi la vita? E per di più con uno strumento futile (e fallico) come il rasoio che il contendente le porge con studiata indifferenza uguagliata solo dall'intima soddisfazione dell'uomo di aver sbaragliato, lui servo, la padrona? Divenuto presto quel classico proibito che pone l'accento sulla folgorazione dei sensi riservando al maschio, che pure incita la compagna a sopprimersi, più di un'attenuante mentre condanna la femmina a rivestire le spoglie del diavolo, lo splendido e terribile atto unico di August Strindberg da allora appare ciclicamente su tutti i palcoscenici del mondo. Contagiando il pubblico del suo afflato perverso come del profumo cimiteriale sottolineato dalla sua impietosa scansione, la terribile signorina ha, tra l'altro, sedotto un cineasta come Sjoberg, un teatrante come Bergman e in Italia Luchino Visconti.
Ma non avevamo ancora assistito, come accade nella lettura strategicamente insidiosa di Armando Pugliese, ineccepibile per rara coerenza drammatica, alla sconcertante chiusa apposta dal regista a questa selvaggia dinamica di anime e corpi. Dato che, basandosi su un'esplicita assenza di didascalie, Pugliese lascia aperto il finale di Strindberg. Facendo balenare il dubbio che la damigella al posto della morte scelga la vita accettando remissiva di rientrare nei ranghi e al tempo stesso condannando il complice, più sedotto che seduttore, a sprofondare nell'abiezione di quel ruolo servile da cui, con ogni mezzo, aveva cercato di evadere. Un'intuizione interessante e coraggiosa, anche se smentisce in pieno le intenzioni che l'autore espresse nella prefazione al dramma. Una tesi impossibile da smentire. Fatta salva l'eccezione alla regola, l'exploit merita di essere studiato, se non scandagliato a dovere. Anche per merito degli interpreti.

Una Vanessa Gravina perfida e suadente come non mai e un Edoardo Siravo che regala al suo Jean, in un cocktail perfetto, la giusta dose di cinica abiezione e pusillanime viltà che conviene a un uomo invischiato nelle sordide attrattive di Kristin, la serva sdolcinata e volgare di Simonetta Graziano.

SIGNORINA GIULIA - di Strindberg Teatro Stabile dell'Aquila. Regia di Armando Pugliese, con Edoardo Siravo e Vanessa Gravina. L'Aquila, fino al 28 novembre.

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