Perché tifo per il no alla Carta Ue

Giorgio Vittadini*

Pochi giorni separano la Francia dal referendum per la conferma dell'adesione al Trattato Costituzionale Europeo e tutti i commentatori politically correct si stracciano le vesti per affermare la necessità del raggiungimento di un rapido esito positivo, pena il delitto di «leso europeismo».
È veramente giustificata questa levata di scudi a «difesa» delle sorti future della nostra civiltà? Quello che nessuno dice è che negli anni scorsi - anche grazie all'onda emotiva della Tangentopoli internazionale e alla strumentalizzazione delle questioni legate alla guerra in Irak - l'identità di un'Europa, che tutti sembrano così pronti a difendere, è stata completamente stravolta da come era stata delineata nel documento programmatico di Lisbona 2000.
L'Europa degli Andreotti, dei Delors, dei Kohl, l'Europa che aveva varato la moneta unica, aveva ben altri scopi e intendimenti: diventare - entro il 2010 - il luogo dove più che in ogni altro posto nel mondo il capitale umano fosse valorizzato e sostenuto, trasformando la propria economia in un'economia della conoscenza, un sistema nel quale le capacità dell'ingegno europeo fossero valorizzate al massimo.
Quell'Europa voleva aprirsi al Mediterraneo, superando definitivamente i nazionalismi; voleva dare impulso ad un'economia e ad una società in cui ci fossero spazi di libertà per le molte iniziative nate dal basso e non legata unicamente a pochi centri di potere. Tutto questo è stato stravolto.
Quella guidata da Schröder, da Chirac e da Zapatero, infatti, è l'Europa dei nazionalismi che, mentre non perde occasione per richiamarsi all'unità (purtroppo solo di facciata), vede crearsi un asse tra due dei suoi massimi esponenti (Schröder e Chirac), per un seggio tedesco all'Onu, riproponendo così, dove le scelte contano, scene ottocentesche di distinzioni tra Paesi di serie A e B.
Sul piano dell'economia internazionale, questa Europa si mostra sempre più una realtà chiusa, abbandonando qualsiasi tentativo di integrazione mediterranea e praticando un protezionismo agricolo verso l'America Latina, per citare solo due esempi.
Non ha investito in istruzione e, con la sua politica volta unicamente all'equilibrio di bilancio, ha soffocato lo sviluppo delle piccole e medie imprese. Del resto, questo non è strano se pensiamo che la politica economica è dominata da commissari - in alcuni casi quasi diretta espressione delle grandi lobby - che parlano di competitività, ma la usano a senso unico, difendendo i monopoli francesi e tedeschi in palese contrasto con antitrust nazionali e internazionali.
Del resto, questo è il vero filo rosso che unisce Zapatero a Chirac e Schröder. Una coalizione bipartisan succube dei potentati economici indifferenti ai temi sociali (assenti, per giunta, nella Costituzione Europea), portatrice di una burocrazia che ignora il dialogo con il mondo di movimenti non asserviti a partiti o a blocchi ideologici.
Ciliegina sulla torta, poi, sono le posizioni criminali sulla vita, in realtà utili soltanto per accontentare elettorati radicali e coprire la radice reazionaria di questi tre esponenti.
Più che nell'approvazione della carta europea c'è da sperare che un'ondata di buon senso nelle elezioni anticipate tolga Schröder dalla guida della Repubblica Federale Tedesca, che i francesi dicano no al simil-imperatore che ricorda le poesie del Giusti e che gli spagnoli si rendano conto che un mediocre li sta portando alla deriva.
Solo così si può rimettere in funzione l'Europa, mettendo da parte leader che hanno fatto la propria fortuna politica sull'onda di processi giudiziari diretti da oltre oceano e di oscure strumentalizzazioni di atti terroristici o di errori americani.
In questo quadro, persino uno stop della Costituzione Europea potrebbe non essere negativo, se coincidesse con la caduta di chi ha tradito l'ideale europeo fingendo di esserne il paladino.
Speriamo in Barroso, che sembra di tutt'altra pasta, e pare non essere subordinato, come i suoi predecessori, a questa nefasta egemonia dei poteri forti.

Viva l'Europa dei popoli, abbasso l'Europa delle nazioni.
* Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà

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