«Perdonami, avrei voluto salvarti...»

Ti scrivo in un giorno particolare. Sto davanti al mio computer e, come sai, guardo fuori dalla mia finestra. Vedo il tramonto riflettere sopra il tetto delle case vicine. È un bagliore color rosso come un papavero che mi sta fissando, come se mi supplicasse. È come se, vedendolo sgusciare da quel tetto, mi conosca. Forse questa lettera è soltanto una scusa. Non sono sicuro perché la sto scrivendo. Forse perché è un giorno in cui, se tutto questo caos non fosse mai successo, saremmo stati insieme. Forse avremmo scambiato un’occhiata e poi un pensiero. Forse avremmo parlato di tante cose successe chissà dove e chissà come. Forse, oggi, ti avrei potuto dire: «Ti conosco e ti amo». Forse sarebbero accadute tante cose che stavano accadendo una volta, all’apparenza. Le apparenze rilevavano tutta la nostra speranza. Ti posso parlare di qualsiasi giorno, di qualsiasi momento.
Ti ricordi quella notte, improvvisamente calda, di novembre? Stavamo sdraiati sul mio portico. Stavamo seduti faccia a faccia e tu avevi una gamba tra le mie. Avevi quei guanti color viola, senza le dita, e i capelli sciolti. Quanto eri bella! Davvero, eri incredibile, ma non ricordo di cosa stavamo parlando. Ad un certo momento arrivò una macchina dietro di me con i fari accesi la cui luce illuminò i tuoi capelli biondi. Tu eri come la luna in un panorama azzurro malinconico. Poi la macchina passò e il buio si stese su di noi. Era una distanza lunga come la nostra conoscenza non ancora compiuta. Mi sentii distrutto!
Adesso sono qui con questo foglio rosa e profumato dopo una lunga giornata pensando invece a cosa ti sarebbe piaciuto fare oggi. Ricevere questa mia lettera, no, di sicuro. Eppure, in realtà, non mi sono ancora arreso nonostante che non esiste un crimine peggiore della speranza che non sa arrendersi. La mia follia non sa arrendersi. A parte tutto, ti voglio bene. Se avessi avuto un’altra possibilità ti avrei aiutata e ti sarei stato molto più vicino.
Ho la tua immagine bruciata nei miei occhi. Ho la mia vita davanti e non riesco a dimenticarmela. Sto sempre guardando indietro. Mi girai e tu non c’eri più. Nuotai fra le onde dei corpi caldi e bagnati di sudore e drink. Dovetti navigare fino a raggiungere il muro con le braccia alzate come un’asta. Camminai passando sopra le giacche, le borse e nell’angolo c’era un ragazzo svenuto. Tu non eri in cucina, dove una montagna di lattine di birra erano sul pavimento. stavo aprendo una finestra per prendere un po’ d’aria quando vidi dalla porta uscire del fumo. Mi avvicinai, bussai, ti chiamai, presi la maniglia e poi quando nessuno mi rispose, aprii la porta. Il fumo mi avvolse e pensai di affogarmi in quel puzzo di bruciato poi vidi te sdraiata per terra, senza giacca e senza maglia. In quel momento non capii niente e soltanto quando fui fuori dalla casa ricordai che con te c’erano altre persone che fumavano, che si bucavano. Non capii, devi credermi. Non capii fin quando raggiungemmo il mio portico e soltanto allora mi resi conto che eri senza conoscenza. Quando tornai ti avevano già portato all’ospedale ma tu devi sapere che io non ti volevo abbandonare, ma in quel momento non capivo più niente.
Il sole mi sta facendo occhiolino e ti devo salutare.

Spero soltanto che tu stia bene e che sia ancora quella che ho conosciuto quando i fari di quella macchina avevano illuminato i tuoi biondi capelli. Immagino un San Valentino che sarebbe stato molto bello trascorrerlo con te, amore mio. Perdonami.

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