Pericolo di fuga, Daccò resta in carcere

C’è il rischio che possa fuggire e che possa commettere ancora il reato. Per questo il gip Vincenzo Tutinelli ha convalidato ieri la richiesta di fermo e disposto il carcere per Piero Daccò, il consulente in affari con il San Raffaele fermato martedì scorso per concorso in bancarotta nell’ambito dell’inchiesta della Procura sul dissesto del gruppo ospedaliero e nella quale tra gli indagati figura anche don Luigi Verzè, fondatore della struttura di via Olgettina.
Daccò, che vive tra Londra, la Svizzera e il Sud America, è stato fermato nei giorni scorsi quando era di passaggio a Milano e dopo che gli inquirenti hanno scoperto che aveva intenzione di recarsi in Israele. «Un normale viaggio d’affari, non aveva intenzione di scappare», ha precisato il suo legale, l’avvocato Gian PIero Bioancolella. Un tentativo di sottrarsi alla giustizia, secondo la Procura. Per questo, nel pomeriggio dello scorso 15 novembre è stato fermato per poi essere trasferito nel carcere di Opera.


Venerdì l’uomo d’affari è stato interrogato dal gip Tutinelli, davanti al quale l’intermediario ha fornito le sue spiegazioni sui tre episodi di bancarotta contestati, per un totale di circa 3 milioni e mezzo di euro legatio a una consulenza per l’acquisto di un aereo, a un’operazione immobiliare in Cile, e a un’opaca transazione finanziaria da 510mila euro. Ieri il giudice ha accolto le richieste dei pm Luigi Orsi, Laura Pedio e Gaetano Ruta, convalidando il fermo e disponendo l’arresto in carcere. Per il giudice, la versione resa da Daccò è «parziale e capziosa».

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