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Una perizia scagiona Alberto. Dopo due anni

Milano Se non è finita, poco ci manca. Una superperizia medico-legale riconsegna l’innocenza perduta ad Alberto Stasi. Non è lui, non può essere lui, secondo il professor Lorenzo Varetto, l’assassino di Chiara Poggi. Il giallo di Garlasco resterà, salvo improbabili colpi di scena, senza colpevole. Dopo due anni di indagini, polemiche e consulenze di ogni genere, il gup Stefano Vitelli aveva affidato a un esperto super partes il compito di fare chiarezza. E Varetto azzera quasi tutti gli indizi faticosamente raccolti dal Pm Rosa Muscio. È vero che il professore, prudentemente, non definisce l’ora della morte, ma aggiunge un dettaglio devastante per l’accusa: l’omicidio avvenne in due fasi distinte e «potrebbe essersi protratto anche per alcune decine di minuti». Una mazzata per la Procura di Vigevano già in difficoltà da quando, nei giorni scorsi, un altro accertamento aveva stabilito che Stasi la mattina del 13 agosto 2007 aveva effettivamente lavorato al suo computer dalle 9.36 in poi. L’alibi per il biondino di Garlasco era già quasi confezionato, ma rimanevano fuori ventisei minuti. Fra le 9.10, quando Chiara disinserisce l’allarme della villa, e appunto le 9.36. Ora Varetto spiega che il delitto non fu consumato in pochi minuti, ma durò a lungo. «Sono abbastanza contento», dice Stasi riemergendo da un silenzio che durava da mesi. E di motivi per essere soddisfatto ne ha più di uno. Varetto non solo rafforza il suo alibi, rendendolo quasi inespugnabile, ma affonda anche gli altri elementi raccolti dall’accusa: il portasapone, il pedale della bici e soprattutto le scarpe immacolate di Alberto.
Quelle scarpe parevano a tutti troppo pulite: ma come aveva fatto il giovane a calpestare la scena del delitto, con macchie di sangue dappertutto, e poi correre a dare l’allarme ai carabinieri? Alberto aveva volato? O forse aveva mentito? Varetto osserva le immagini scattate dagli investigatori meno di quaranta minuti dopo il presunto ingresso di Alberto nella villa: «Possiamo ritenere che almeno una buona parte del sangue presente sul pavimento del piano terreno - ed eventualmente anche la sua totalità - fosse secca». Quaranta minuti prima la situazione non poteva essere molto diversa: «Questa affermazione ... ci permette di ritenere che molto probabilmente il sangue fosse - se non completamente - almeno parzialmente secco; non ci consente in ogni caso di escludere che detto sangue fosse già secco».
Insomma, non è detto che Stasi dovesse sporcarsi per forza nel camminare sul pavimento. Oppure, il sangue potrebbe essere scomparso nel contatto fra le scarpe e l’erba bagnata del giardino. A questo punto, del castello accusatorio restano solo macerie. Per superare l’impasse del computer, la parte civile si era affidata a un video: lì si mostrava che l’assassino aveva avuto tutto il tempo, nella finestra temporale compresa fra le 9.10 e le 9.36, per colpire Chiara, pulirsi sommariamente e scappare a casa Stasi, attraversando velocemente in sella alla bicicletta una Garlasco deserta. Ora però Varetto distrugge questa ricostruzione: «L’aggressione non fu un atto fortemente concentrato nel tempo, essendo individuabili almeno due fasi cronologicamente ben distinte: non è possibile stabilire la durata dell’intero episodio, ma esso potrebbe essersi protratto nel suo insieme per alcune decine di minuti». Diventa quindi poco importante l’ulteriore precisazione del perito che «ritiene non valutabile con precisione l’epoca della morte, se non affermando che essa avvenne nel corso della mattinata del 13 agosto». In conclusione, il delitto durò molti minuti e questo, salvo improbabili colpi di scena, scagiona del tutto Stasi, già scagionato per gran parte della mattina dal suo computer. D’altra parte l’esperimento sul sangue fa cadere anche un altro pilastro dell’accusa. E, come se non bastasse, Varetto assesta altri due colpi. Il primo, sul materiale biologico trovato sul pedale della bicicletta di Alberto. Sulla base di quell’indizio, Stasi era stato incautamente fermato dalla Procura di Vigevano, uno scivolone, uno dei tanti, troppi errori di un’inchiesta disgraziata, condotta in modo approssimativo e confuso. Ora anche quell’elemento sparisce dalla scena processuale: «Non è possibile precisare la natura del materiale biologico di Chiara Poggi presente sui pedali». Era sangue, il sangue di Chiara? Non si sa e a questo punto non si saprà mai più. Infine il portasapone nel bagno di casa Poggi: «Il contemporaneo riscontro di un’impronta digitale di Alberto e di Dna di Chiara ha quale più ragionevole e semplice spiegazione il fatto che i due abbiano entrambi toccato l’oggetto, in tempi e per un numero di volte del tutto sconosciuti e non determinabili». Il processo Stasi si era bloccato, proprio in attesa delle perizie. Ora, le risposte corrono tutte verso l’assoluzione dell’imputato.

Prossima udienza, il 17 ottobre.

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