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Buon compleanno Tex, gran firma del "Giornale"

È sempre stato il simbolo di una società aperta. Qui sveliano un suo (e nostro) piccolo segreto

Buon compleanno Tex, gran firma del "Giornale"

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Questo è il racconto di quando Tex Willer scrisse un pezzo per il Giornale. Era un venerdì, non come tutti gli altri. Non fosse altro perché cadeva nel bel mezzo di un'estate non troppo calda. Era comunque Ferragosto, quello del 2008. L'Osservatore Romano, quotidiano di santa madre chiesa o, meglio, della Santa Sede, quindi del potere temporale, festeggia con un mese e mezzo di anticipo i sessant'anni di una leggenda del western fumetto all'italiana. Sulla prima pagina c'è lui, con la camicia gialla, lo Stetson sulla testa, la colt 45 alla fondina, un Winchester appoggiato sulla coscia e lo sguardo fisso oltre l'orizzonte.

È Tex Willer, il ranger con un passato fuorilegge, il vedovo della dolce Lilith, il capo bianco dei Navajo che ogni popolo della prateria conosce come Aquila della Notte. È il giorno della fiera di metà agosto dove improvvisamente si mischiano sacro e profano. L'Osservatore Romano di fatto santifica Tex. È un esempio di rettitudine morale e i suoi valori non sono negoziabili. È quel tipo di uomo che non ha paura a seguire il bene e in più piace a tutti, senza confini di classe e di cultura.

È il simbolo di una società aperta dove nessuno viene giudicato per il colore della pelle. Il suo universo immaginario resta il Texas, i territori del vecchio West, la guerra con il Messico e quella civile americana, quando si trovò lui, uomo del Sud, tra due bandiere. Ma ci sono i ghiacci del Canada, conosciuti con il suo amico Jim Brandon, e i quartieri cinesi di San Francisco. È la riserva dei suoi Navajos e l'Egitto di El Morisco, l'estetismo decadente di Mefisto, demone ex illusionista, e di suo figlio Yama. È la cintura Wampum, che unisce in fratellanza tutti i capi indiani, anche i più ribelli come Cochise e Geronimo, simbolo vero, scovato chissà dove da Gianluigi Bonelli. Se la leggenda di Tex è la proiezione di un'America letteraria e popolare, che sa di Ombre rosse e Sfida all'O.K. Corral, la sua storia è qui, in Italia, nei ricordi dei padri che sono diventati nonni, nella cultura di massa che sdogana quelle strisce di carta, e le fa diventare patrimonio comune. Ma davvero per la Chiesa Tex Willer è un esempio? Qui nasce l'idea: chiediamolo a lui.

- Come a lui?

- Sì, direttamente a Tex.

- Ma è un ranger mica un giornalista.

- L'ordine dei pennivendoli se ne farà una ragione.

- E comunque Tex non esiste.

- Non ne sono così convinto. Posso chiedere al fratello di metterci in contatto.

- Il fratello? Kit Carson?

- Kit non è il fratello. È il suo compagno di avventura.

- Allora chi?

- Sergio Bonelli.

- L'editore?

- Sì, il figlio di Gianluigi Bonelli, l'uomo che ha creato Tex.

- E quindi per te Sergio sarebbe il fratello?

- Non per me. È Sergio che lo sente così. Sono le cinque della sera e Bonelli risponde al settimo squillo. Racconti la storia della beatificazione, l'elogio morale dell'Osservatore Romano, la visione cristiana di suo fratello e chiedi se per caso avrebbe voglia di scrivere una lettera di risposta.

- Una lettera di Tex?

- Firmata da lui.

- Ma adesso siamo in Spagna e non c'è nulla per scriverla.

- Dettala.

- No, facciamo così. Scrivila tu e la firmi Tex.

- Il ghost writer di Tex?

- Sì, ti dispiace?

- No, ho scritto per gente peggiore.

È così che Tex Willer diventa una firma di questo giornale. Non si prende sul serio. «Mia moglie ha studiato dai francescani, in un convento di Santa Cruz. Io sono soltanto un uomo coerente con i suoi valori». Sergio Bonelli se ne è andato via da un po' di tempo e troppo presto. Tex ha appena compiuto settantacinque anni. Non ha più scritto sul Giornale. «Carson ha cominciato a chiamarmi San Tex. Vado a prendermi una pinta di birra, con una bistecca alta due dita e una montagna di patatine fritte.

Adios Amigos».

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