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Dai social a The White Lotus: la storia dell'italiano Paolo Camilli

Recente vincitore del SAG al miglior ensemble per la serie The White Lotus, Paolo Camilli si racconta, tra social, impegno sociale e comicità

Dai social a The White Lotus: la storia dell'italiano Paolo Camilli

Il suo account Instagram conta circa 285 mila followers e ad oggi Paolo Camilli è uno dei volti più interessanti e in ascesa dei nuovi media. Classe 1986, Paolo Camilli è un professionista con una lunga gavetta alle spalle, iniziata nel mondo teatrale e dell'improvvisazione, che lo ha portato a lavorare tanto in teatro quanto sul piccolo schermo. Sui social media è conosciuto soprattutto per gli sketch comici e le gag che hanno portato alla creazione di personaggi e situazioni che sono legati all'attualità e a volti noti. Ne è un esempio il format Fatto a caso da Benedetto, in cui, con irrinunciabile accento marchigiano, Camilli si improvvisa chef domenistico. Una gag che lo ha portato poi a collaborare anche con Benedetta Rossi, a cui il suo personaggio chiaramente si ispira. Altri personaggi molto amati del suo repertorio sono Dora ASMR e Serena in Cucina. Ma sul suo acount Instagram si può trovare di tutto: dalla parodia dei Maneskin all'esperto di astrologia che dopo la pandemia non ha più il coraggio di prevedere l'esito delle stelle.

Ideatore della linea di scarpe Vàrdash e regista e interprete dello spettacolo teatrale L'amico di tutti, Paolo Camilli è entrato nel cast della seconda stagione di The White Lotus, dove interpretava il personaggio di Hugo al fianco di grandi nomi del cinema come Jennifer Coolidge e Tom Hollander. Per la seconda stagione della serie targata HBO, Paolo Camilli è stato premiato con il SAG - il premio dato dal sindacato degli attori di Hollywood - per la sezione Outstanding Performance by an Ensemble in a Drama Series. Proprio in occasione di questo traguardo straordinario e meritatissimo, abbiamo scambiato quattro chiacchiere al telefono con Paolo Camilli, parlando del suo soggiorno a Los Angeles, del suo lavoro e dei pregiudizi che ancora ammantano il mondo della comunicazione social. Ecco quello che ci ha raccontato.

Come sta andando a Los Angeles? Com'è stare nella terra del cinema?

Ma guarda, ti dirò. Mi sta piacendo molto, anche perché è la prima volta che sono a Los Angeles. Si sente una bella energia. Si vede che è una città molto viva, in cui girano parecchie cose a livello creativo. Quindi interessante, mi sta piacendo. Bella.

Poi immagino deve essere bella dopo aver vinto un SAG.

Be' sì. Quello diciamo che quello aiuta.

Ovviamente ti devo chiedere di The White Lotus. Com'è nato il progetto, come è stato stare su quel set internazionale?

Quando mi arrivò il provino io non conoscevo ancora The White Lotus perché in Italia era passato un po' in sordina. Mi arrivò questo provino per HBO per una serie americana e pensai: "facciamo sto provino, boh". Quindi, con molta leggerezza, ho mandato l'audizione. Poi, quando mi hanno preso, ho cominciato a vedere la serie, sai, anche per capire in cosa avrei lavorato, e mi sono immediatamente innamorato. E mi sono emozionato all'idea di farne parte. Poi l'esperienza in sé è stata pazzesca. Stai ventiquattro ore su ventiquattro sul set con personaggi come Jennifer Coolidge e Tom Hollander che tu stai lì, li guardi e impari. Devo dire che, per ora, girare The White Lotus credo sia stata l'esperienza più bella che ho fatto perché si è creato un bel mix tra lavoro e rapporti umani. Perché comunque stavamo tutti lì a Taormina: nelle pause si usciva insieme, si andava a cena insieme. Si era creato un po' quel senso di compagnia di tipo teatrale, che tu stai lì, vai in giro, mangi insieme, chiacchieri... Condividi tante cose. Io sono stato quasi un paio di mesi e sono stati bellissimi, specie poi in una location pazzesca come la Sicilia. E poi è stato totalmente inaspettato quello che ha portato The White Lotus, perché appunto non pensavo ci sarebbe stata questa esplosione e il SAG. Sono veramente strafelice.

Paolo Camilli e il cast di The White Lotus

Ma com'è stato sapere di poter vincere un SAG? Sarà stato inimmaginabile pensare: "Sto andando a Los Angeles, dove mi daranno un premio per il mio lavoro".

Forse ancora non me ne sono proprio reso conto. Sto dicendo spesso, essendo tutta questa situazione così surreale, che ha fatto il giro e ha finito per sembrare normale. Perché veramente vedi vicino a te delle star hollywoodiane che hai visto sempre da lontano e percepito come irragiungibili. E loro per primi vengono da te e si congratulano per il SAG e quindi questa cosa ti spiazza. Ti dici: "Come è possibile? Tu sei una star Hollywoodiana, famosissima e vieni da me e ti congratuli?". Davvero, è stato totalmente e fortemente emozionante e surreale. Bellissimo, devo dire. Forse ancora devo rendermene conto e non so se mai me ne renderò conto davvero. Credo sia una di quelle cose... uno di quei sogni lucidi che ti dici: "Forse ho sognato". Però c'è la statuetta, esiste, quindi deve essere una cosa vera.

Chi è nato alla fine degli anni Ottanta fa parte di quella generazione a cui è stato insegnato che "da grande" avrebbe potuto fare tutto e poi, quando il momento è arrivato, si è vista costretta a reinventarsi, magari a scendere a compromessi coi sogni. In realtà per chi ti segue, tu sei uno di quelli che ce la sta facendo. La senti un po' la pressione o è ancora tutto improntato sull'andare avanti e poi vedere che succede?

No, è più la seconda. Io vado avanti e poi vediamo che succede. Soprattutto in un lavoro come questo, che è così imprevedibile, anche nell'accezione positiva del termine. Devo dire che, col tempo, ho imparato un po' a ridurre le aspettative. Questo non vuol dire non desiderare più niente. Io ho ancora i miei desideri e i miei obiettivi, ma cerco di non caricarli di tutta quell'aspettativa che se poi quella cosa tarda un po' ad arrivare o non arriva... Perché spesso ci facciamo un disegno nella nostra mente che poi magari non è detto che sia la cosa più giusta per il percorso. Ultimamente noto che in generale, anche con l'avvento dei social e dopo la pandemia, molte persone hanno cambiato lavoro, si sono buttate. Questo è bellissimo. Però a volte mi dico che ci dimentichiamo la costanza di chi i passi li sta facendo da molti anni... Sai, un conto è che ti sei creato un cuscinetto e fai un salto, perché sai che hai quel cuscinetto che ti protegge. Però se tutto questo lo fai da ragazzo, all'inizio, e sono anni che combatti tra una cosa e l'altra, fai gavetta, su gavetta su gavetta, è una cosa da premiare. Quindi io premierei sia chi ha il coraggio di lanciarsi e cambiare la propria vita, ma anche chi invece persegue l'obiettivo attraverso molti ostacoli. Perché comunque quello fa la differenza, secondo me. Resistere è importante, perché se poi alla fine non resisti... Puoi essere il talento più grande del mondo, ma se per X motivi anche a livello caratteriale non resisti e ti fermi a un certo punto... poi magari perché il percorso è quello e scopri e vuoi fare altro, ma per me resistere e avere il coraggio di persistere è davvero molto importante.

Paolo Camilli e il sag

Sui social sei sempre molto pacato ed elegante. E sei un po' un'eccezione: è sempre più facile arrabbiarsi sui social. Secondo me il tuo aplomb invece è un tuo punto di forza. Come vivi i social?

Questo è il mio linguaggio. Non vuol dire che non ci sono cose che non mi fanno arrabbiare. Anzi, è proprio la rabbia che mi porta a creare quel contenuto. Parto dal presupposto che soprattutto per alcuni temi se a rabbia a rispondi con rabbia fai solo aumentare il polverone. Secondo me, invece, la forza della risata è un po' questo: mentre io ti faccio ridere, ti sto anche comunicando un messaggio che magari metabolizzi un secondo dopo però in qualche modo questo messaggio ti arriva dentro come un cavallo di Troia. Per esempio, a teatro sono anche molto più satirico, vado molto a più a fondo nelle cose. Questo anche perché il social è un contesto in cui il target è più vasto, dai più piccini ai più grandi, e quindi magari per i social uso un linguaggio un filino più moderato. A teatro invece mi piace essere più satirico, però sempre mantentendo quell'aplomb. Mi piace comunicare messaggi forti, come faccio nello spettacolo L'amico di tutti che ora è in scena e che parla di temi come l'omofobia, il razzismo, l'hate speech, però con comicità e con il mio stile surreale. Questo è quello che mi piace fare: a volte mi piace far sorridere con situazioni surreali e personaggi surreali, ma a volte anche sfruttare e usare la comicità per dare messaggi che possono magari illuminare qualcuno.

Sei attore, regista, content creatore, comico, ballerino, sei stilista con Vàrdash. Sai, sui social c'è spesso il preconcetto del: "questo ha tanti followers ma non fa niente. Andasse a lavorare". Tu senti ancora questo pregiudizio del pubblico secondo cui chi è sui social non lavora?

Chi fa l'artista vive già il pregiudizio. Quando dicevo "ah faccio l'attore", poi mi rispondevano: "Ah fai l'attore, okay. Ma poi che fai? Qual è il lavoro vero?". Quindi sono abituato a questo tipo di pregiudizi che di base ci sono perché non si comprende il lavoro che c'è dietro. Prendo per esempio le collaborazioni. Le collaborazioni sono anche un modo per il content creator di poter mantenere e investire sulla propria creatività. Perché a un certo punto diventi un pubblicitario creativo. Io per esempio quando faccio le collaborazioni le faccio per creare dei contenuti nuovi, comedy. Quindi, anzi, le prendo come spunto. Perché magari ti arriva il brief e tu decidi di collaborare con il brand che ti piace e questo poi ti stimola a creare l'idea. C'è tutto un lavoro dietro e ogni content creator è come una piccola agenzia creativa. Secondo me il problema è che non viene apprezzato ancora in generale il lavoro creativo: che tu sia attore, che tu sia content creator, che tu sia un pittore o un musicista... per la nostra cultura questi mestieri vengono visti ancora come degli hobby. Semplicemente perché non si conosce il lavoro che c'è dietro. C'è ancora il concetto, che veniva anche dei nostri nonni, per cui se non soffri e non sudi vuol dire che non lavori. Invece ci sono tanti tipi di lavoro, anche quello mentale come quello creativo può essere molto faticoso, è solo un altro tipo di fatica.

Se dovessi parlare con il Paolo Camilli da qui a dieci anni, che cosa diresti?

Direi la stessa cosa che direi al Paolo del passato, cioè di continuare e che ha fatto bene a seguire l'istinto. Non quello che ti porta a fare la scelta di impulso, ma quella voce che ti continua a lavorare sotto e ti dice: "So che è un periodo di mer*a, pensi che va tutto male, pensi che devi mollar tutto, ma fidati".

Gli direi di continuare a seguire sempre l'istinto, perché è quello che un po' ci salva.

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