L'avv. Tirelli: "Baudo ha plasmato l'identità italiana"

Il presidente delle Camere penali internazionali: "Straordinario il valore pedagogico della sua Tv, ha creato una coscienza collettiva"

L'avv. Tirelli: "Baudo ha plasmato l'identità italiana"

Che cosa può insegnarci oggi la televisione di un tempo? E come si misura davvero l’impatto di un uomo pubblico sulla coscienza collettiva di un Paese? Sono queste le domande che attraversano la riflessione sulla figura di Pippo Baudo, non solo protagonista della TV, ma creatore di linguaggi comuni e ponti tra Nord e Sud. In un’Italia che faticava a riconoscersi come nazione, Baudo è stato – secondo molti – più efficace di una riforma scolastica. Ne parliamo con l’avvocato Alexandro Maria Tirelli, presidente delle Camere penali internazionali e protagonista del dibattito sociale e politico nazionale, oltre che commentatore per i maggiori broadcaster internazionali.

UN PADRE COSTITUENTE DELLA TV

«In questi giorni, la morte di Pippo Baudo ha scoperchiato un sentimento collettivo che raramente si concede alla politica e quasi mai alle istituzioni: la percezione di un’appartenenza intima. Le ore di televisione, i ricordi inondati sui social, la coralità dei racconti restituiscono l’evidenza che Baudo fosse, per gli italiani di ogni età, più vicino, più amato, più “interno” alla comunità nazionale di qualunque Presidente del Consiglio o, persino, della Repubblica. Non è un semplice omaggio: è la misura della sua centralità nel tessuto sociale e culturale del Paese», spiega Tirelli. Che aggiunge: «Baudo è stato il primo, compiuto esempio di italiano moderno sovraregionale. Non un “padre costituente” nel senso della Carta del 1948, ma un padre della Costituzione materiale: uno di quegli uomini che hanno posato i mattoni con cui si è cementata l’Italia reale, quella che vive al di là dei codici, dei decreti e delle circolari».

UNA ITALIA NAZIONALE E NAZIONAL-POPOLARE

Secondo il presidente delle Cpi, l'artista siciliano «ha contribuito a edificare un’Italia nazionale e nazional-popolare, offrendo un linguaggio comune, un repertorio di gesti condivisi, un’educazione sentimentale di massa. Paradosso virtuoso: più faceva televisione “leggera”, più pesava sulla nostra storia comune».

Una storia che intreccia aspetti nazionali ad altri più squisitamente domestici, come sottolinea proprio Tirelli. «Lo dico da figlio del 1970, cresciuto in una famiglia che è stata un raro incontro tra un ceto agiato del Nord e un ceto agiato del Sud. Da un lato gli armatori amalfitani di mia madre, che nelle vecchie fotografie dell’Unità d’Italia posano con la bandiera borbonica listata a lutto nel giorno dell’annessione del Regno delle Due Sicilie all’Italia sabauda; dall’altro un mio diretto ascendente, Gian Battista Tirelli, arruolato nella spedizione dei Mille, con radici piemontesi salde e orgogliose. Nato a Napoli, ho trascorso l’infanzia nel Nord: mia madre farmacista a Cavour, nel Torinese, dove — era l’inizio degli anni Settanta — pochi parlavano davvero l’italiano. Scendendo dai nonni al Sud, trovavo la stessa frattura: la lingua del popolo era il napoletano. Nonostante gli sforzi di maestri e pedagogisti, l’Italia non era ancora “fatta”. Eppure, davanti allo schermo, accadeva qualcosa: «Quel siciliano di Militello, amato al Nord quanto al Centro e al Sud, neutralizzava la diffidenza, smussava i pregiudizi, metteva in comunicazione mondi che si ignoravano».

LA COSTRUZIONE DI UN LINGUAGGIO COMUNE

E questo perché, «nella sua dimensione nazional-popolare», Baudo è stato un «minimo comune denominatore dell’identità italiana». Tirelli elenca alcuni dei programmi più famosi da lui condotti: «Domenica In, Fantastico, i varietà del sabato sera e i Sanremo affidati alla sua guida erano contenitori costituenti: non soltanto spettacolo, ma laboratori in cui si costruiva un lessico condiviso e, soprattutto, un vocabolario di valori comuni». In un’Italia ancora provinciale — dove al Nord c’era chi non aveva mai visto il mare e al Sud chi non era mai stato a Roma — «quella televisione era una geografia sentimentale: ci faceva conoscere l’altrui accento come una musica domestica e l’altrui cucina come un profumo di casa». «Sinestesia dopo sinestesia, il blu elettrico delle luci di studio si mescolava all’odore rosso del sugo della domenica: lo spettacolo diventava rito civile. Il pomodoro univa i gusti; Baudo univa le persone», spiega il presidente delle Camere penali internazionali.

LA GRAMMATICA DELL'INCLUSIONE

E, per meglio illustrare l'idea di artista pop e impegnato al contempo, Tirelli ripercorre il filo della memoria. «Non fu solo una regia di palinsesti: fu una educazione nazionale. Tra il 1978 delle “Cicale” di Heather Parisi e le infinite domeniche pomeriggio, il ritmo leggero diventava una grammatica dell’inclusione. Lì si apprendeva che l’Italia è un Paese plurale e però capace di un centro: un’“aristocrazia popolare”, oxymoron perfetto per dire Baudo, capace di tenere insieme lo swing del varietà e la serietà del canone. E più lui appariva meridionale, più diventava nazionale. Paradosso nell’ossatura: quanto più radicato in Sicilia, tanto più riconosciuto come l’italiano di tutti».

IL VALORE DELL'IDENTITÀ

Probabilmente, uno dei grandi meriti del conduttore di Militello è stata l'intuizione linguistica.

«Baudo parlava un italiano impeccabile — chiaro senza essere banale, colto senza mai essere snob — ed era un uomo di vasta cultura. Ha offerto un modello di integrazione senza retorica: italiano prima che siciliano, e proprio per questo riscatto del Sud dentro l’orizzonte della nazione. Ha mostrato che si può essere fedeli alla propria terra e, insieme, patria per milioni: una silenziosa tempesta identitaria che ha spazzato via l’idea di un Nord e un Sud condannati a non capirsi».

«Per questo oggi, più che piangerlo, dovremmo riconoscerlo: padre della nostra Costituzione materiale, costituente della lingua e dei riti con cui ci siamo scoperti comunità. La sua eredità non è un archivio televisivo, ma un patrimonio di unità: l’idea che un Paese possa mettere in musica le sue differenze e trovarvi un’armonia — una melodia di luci, odori, accenti e facce — capace di resistere al tempo.

Se l’Italia di oggi è, malgrado tutto, sostanzialmente unita sul piano culturale, lo deve anche a quell’uomo che sapeva fare del varietà una cosa serissima. Eccolo il paradosso finale: per fondare una nazione comune, a volte basta la leggerezza pesante di chi sa parlare a tutti. Pippo Baudo l’ha fatto, e lo ha fatto definitivamente».

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