"La lezione di papà Maurizio: umiltà e rispetto del lavoro"

La figlia del conduttore Camilla Costanzo ha istituito un premio teatrale per i detenuti: "Ha sempre avuto a cuore il tema delle carceri"

"La lezione di papà Maurizio: umiltà e rispetto del lavoro"

«Mi piace pensare che sia stato papà a illuminarmi in questa avventura, a indicarmi la strada e a suggerirmi cosa fare. Io ci credo, lo sento sempre vicino, la sua presenza è per me costante, quasi concreta». A raccontare è Camilla Costanzo, figlia del compianto Maurizio, scomparso nel febbraio 2023. È stata lei a volere, ideare e realizzare con successo la prima edizione del «Premio Maurizio Costanzo nelle Carceri», portato in scena al Parioli di Roma dai detenuti della Casa Circondariale Sanquirico di Monza.

Uno spettacolo scritto e recitato dai carcerati, l'epilogo di un lungo lavoro dietro le sbarre, che per una sera ha restituito dignità e speranza a chi spesso è dimenticato. Una finestra di riscatto su un mondo difficile che Camilla Costanzo ha voluto aprire nella memoria del padre, primo giornalista che della condizione dei detenuti e delle guardie carcerarie si occupò con passione, realizzando addirittura un reality dentro Rebibbia, trasmesso da Italia 1 vent'anni fa.

Camilla, prima del premio avete fondato un'Associazione nel nome di vostro padre.

«Dopo circa un anno che papà non c'era più, i miei fratelli Saverio, Gabriele e io abbiamo pensato che fosse giunto il momento: portare avanti il suo nome in un ambito di cui siamo certi che sarebbe stato felice. Ci hanno proposto di ricostruire il suo studio privato all'interno del teatro che ha sempre ospitato il suo show, e che ora si chiama Parioli-Costanzo. È nata così la sede dell'Associazione. Papà attribuiva agli oggetti un valore incredibile, per lui era come se avessero un'anima, gli piaceva ad esempio moltissimo collezionare tartarughe di ogni tipo: diceva che erano lente come lui, ma sapevano andare lontano; ne abbiamo ancora centinaia. E in ufficio teneva un sacco di altre cose, ricordi, fotografie, libri e ci sembrava terribile chiudere tutto in un magazzino. Alcune delle sue tartarughe le ho regalate ora ai detenuti che hanno partecipato allo spettacolo e anche agli agenti di Polizia penitenziaria».

L'idea del Premio com'è nata? Ha subito pensato al mondo delle carceri?

«A papà il tema delle prigioni e le condizioni dei detenuti stavano particolarmente a cuore. Riteneva che fosse importante riuscire a mettersi nei loro panni, capirne le angosce, le speranze, anche i sogni, a prescindere dai reati che avessero commesso. A lui interessava la condizione umana. Questa sua battaglia per i diritti dei carcerati l'ho sentita molto vicina e ho voluto accendere una luce, aprire una nuova strada. Abbiamo siglato un accordo con il ministero di Giustizia e con il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, che ci hanno molto aiutato, poi istituito una giuria presieduta dal regista Pino Strabioli e immaginato un premio teatrale che coinvolgesse i detenuti in qualità di attori, seppur dilettanti. La potenza della recitazione in carcere è fortissima, salvifica».

Avete esteso l'invito a partecipare a tutte le carceri italiane. In Italia ci sono 191 istituti, con 150 laboratori teatrali e 120 compagnie.

«È stato impegnativo, ci abbiamo lavorato un anno. Ma la soddisfazione, quella non si riesce a raccontare e ripaga di ogni sforzo. Abbiamo ricevuto 26 copioni e la giuria ha scelto quello dell'istituto penitenziario di Monza: si intitola Senza parole. A guidare i detenuti è stata la compagnia dei Geniattori, genitori di bambini dell'asilo e anche attori, sotto la regia di Mauro Sironi. Lo spettacolo porta in scena undici quadri, tutti momenti di vita vissuta dietro le sbarre: dalla foto segnaletica scattata quando entrano in carcere, al caffè con gli altri reclusi, e poi i colloqui con i parenti, la palestra e anche l'uscita di prigione. È una rappresentazione emotivamente forte, ma a tratti anche divertente, perché tutto è raccontato con grazia e leggerezza».

Che sensazione ha provato quando la serata è finita e i detenuti sono tornati in carcere?

«Avevamo tutti il cuore un po' spezzato. Alla fine, mentre posavamo per le fotografie, sapevamo che ci dovevamo salutare: noi rientravamo a casa, loro invece rientravano in prigione. Hanno avuto un giorno e mezzo di libertà, sono partiti in pullman da Monza alle 5 del mattino, hanno provato a teatro tutto il pomeriggio e la mattina dopo sono ripartiti. Ci siamo messi nei loro panni, ecco, ed è stato potente: insieme siamo saliti fino alle stelle e poi siamo tornati giù, con i piedi per terra. Ciò che spero dopo questa prima edizione è che ci sia un'onda lunga, che l'attenzione sulle carceri rimanga accesa. È una grande tristezza che la società si dimentichi di queste persone che, seppur senz'altro colpevoli, stanno rinchiuse, private della libertà: sono comunque esseri umani».

Suo padre si è molto speso per chi aveva bisogno, in particolare per gli ultimi, per i più umili. È vero che si considerava anche lui tra gli umili?

«Non so come si considerasse, ma posso dire che certamente era umile. Nonostante tutto ciò che ha realizzato sul lavoro, papà non si è mai sentito arrivato. Quando ad esempio gli offrivano una nuova collaborazione, anche se era piccola ne era felice, quasi stupito: ha sempre accettato qualunque nuovo impegno, non ha mai detto di no. È rimasto tutta la vita quel ragazzino che inventava la telecronaca del Giro d'Italia nel salotto di casa, tirando i tappi di bottiglia con le dita. Le racconto un piccolo aneddoto: un anno prima che morisse, un settimanale gli propose una rubrica. Noi figli lo vedevamo a pranzo tutti i giovedì e ogni volta ci diceva: Vi rendete conto? Un giornale così importante!. Io gli rispondevo: Ma papà, sei tu importante!. Non c'era verso, era talmente contento È un esempio del grande amore e anche del grandissimo rispetto che aveva per il lavoro».

Rispetto per il lavoro che ha tramandato anche a voi figli.

«Sì, penso di poterlo dire anche a nome dei miei fratelli: sul lavoro papà ci ha insegnato tutto. Credo ad esempio che non ci sia nessuno più puntuale di noi in tutta Italia! È un modo di vivere, una disciplina necessaria. Anche Maria (De Filippi, ndr) in questo è uguale identica a lui. Noi figli siamo però più affamati di vita, abbiamo famiglie, figli. Chiedevamo a papà: non ti va di andare al mare, di riposarti, ma niente, per lui il lavoro era tutto. Quando da bambini andavamo a casa sua nel weekend, lui lavorava nel suo studio e per tenerci impegnati ci metteva davanti alla Tv. Aveva una collezione infinita di VHS con i film del suo cuore, Totò prima di tutto, ma anche quelli di Monicelli: li conoscevamo a memoria. Era un padre sempre al lavoro, non un padre assente. Poi, quando è diventato nonno, è stato invece super presente».

Oltre al «Premio Maurizio Costanzo nelle Carceri», so che sta ragionando di concretizzare anche un altro tema molto caro a suo padre.

«Papà voleva aprire a Roma le balere per gli anziani. Era uno dei suoi ultimi progetti e io lo trovo bellissimo. I grandi vecchi sono sempre di più, e sempre più soli. So che papà era in contatto con il Comune di Roma per sistemare alcuni locali dismessi e trasformarli in balere. Questo tema è il primo cui avevo pensato, prima ancora delle carceri.

Poi, a proposito di rispetto per il lavoro, ho deciso di concentrare l'energia su un progetto per volta, per poterlo seguire seriamente. Quindi certo, l'Associazione Maurizio Costanzo si impegnerà anche per gli anziani: per ora, con il direttore commerciale del Parioli Fabrizio Musumeci abbiamo l'idea di portare il teatro nelle Rsa».

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