Petacchi, il killer è tornato «E ho un conto in sospeso»

«Non ho ancora digerito la sconfitta nel mondiale. Boonen dovrà battermi, occhio a Freire e Zabel»

Pier Augusto Stagi

da Milano

Ha un conto in sospeso: non tanto con Tom Boonen, ma con se stesso. Il mondiale di Madrid, che ha dato al giovane fuoriclasse belga la maglia iridata, gli brucia ancora. Alessandro Petacchi era l'uomo più atteso, quel giorno: per questo quella sconfitta non gli è ancora andata giù del tutto. «Avevo una grande responsabilità, e soprattutto avevo grandi ambizioni - dice il velocista spezzino, l'ultimo vincitore della Sanremo -. Volevo far bene, volevo chiudere la mia stagione con quella che sarebbe stata ben più di una ciliegina da mettere sulla torta: la maglia iridata. Invece... Invece, quel giorno di fine settembre ho vissuto una delle giornate più difficili e amare della mia stagione. Non stavo bene, covavo l'influenza, e il Petacchi esplosivo di solo qualche giorno prima non c'era più».
Una stagione, quella scorsa, semplicemente da incorniciare. Ventisette vittorie - nessuno come lui da tre anni a questa parte - con la Sanremo a brillare di luce propria su tutto, oltre a tappe al Giro e alla Vuelta. «Ma quello che è stato fatto fa ormai parte della storia, ora devo ricominciare da capo. Domani avrò di fronte il meglio del ciclismo mondiale. La concorrenza è delle più agguerrite e qualificate. Oltre a Boonen ci saranno Oscar Freire, uno da tenere sempre sott'occhio; Paolo Bettini, che prima della caduta alla Tirreno volava, ma se ha deciso di schierarsi al via non è solo per fare una passeggiata in Riviera; Thor Hushovd, che è tosto. E poi Robbie McEwen, che è altrettanto tosto, e poi via via tutti gli altri. Io comunque sto bene, se posso dirlo sto anche meglio di un anno fa».
Alla Sanremo ci arriva con sette vittorie in carniere, e una condizione davvero ottima. Alla Tirreno una sola vittoria, ma di traguardi adatti ai velocisti ce n'erano solo due. Ma il Petacchi di quest'anno ha impressionato tutti per la grande facilità che ha mostrato nell'andare in salita. «Non temete, non ho perso lo spunto veloce, quello ce l'ho sempre», assicura. Ieri l'ultimo allenamento sulle strade della Riviera. Da solo, rigorosamente da solo: come un anno fa. Accompagnato da Stefano Santerini, il suo massaggiatore che l'ha scortato con l'ammiraglia. Tre ore e quaranta di allenamento: da Andora ad Andora. Andata e ritorno, con due volte la Cipressa e due volte il Poggio. «Sono andato a fare un ripassino, non fa certo male. Meglio tener ben presente tutto, soprattutto le discese». E a chi sottolinea che Boonen ad oggi ha vinto più di lei cosa risponde? «Che quando ci siamo incontrati la partita è finita 2 a 1 per me. Io so di stare bene, se lui sta meglio, che lo dimostri. Io una Sanremo l'ho vinta, lui no. Lui ha una grande squadra e io anche, ma con una differenza: avrò al mio fianco un compagno di squadra speciale come Erik Zabel, che di Sanremo ne ha vinte quattro».
A proposito: nella Sanremo quanto conta la fortuna? «Molto, più che in altre corse. La Sanremo è bella e imprevedibile. Perché troppo elementare, ma proprio per questo diventa prevedibilissima. È tutto e il contrario di tutto: questo è il suo vero fascino.

Una corsa lunga, lunghissima, la più lunga di tutte: quasi 300 chilometri, con strappi non proibitivi ma che diventano micidiali se affrontati ad elevata velocità dopo sette ore di corsa. È una corsa affascinante, che incanta, tocca il cuore. A me è sempre piaciuta in modo particolare e continua a piacermi maledettamente. Ma ho una fortuna...». Quale? «Averla già vinta».

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