Parigi - Tre mesi fa, dall’ospedale Sainte-Anne di Parigi dove era (ed
è tuttora) ricoverata per una grave forma depressiva, l’ex brigatista
Marina Petrella aveva scritto una lettera al suo avvocato, Irene Terrel,
esprimendo il suo rammarico per le azioni da lei commesse. Oggi
quella lettera viene pubblicata dal quotidiano "Le Monde" in edicola con
la data del 16 ottobre.
Le pressioni della famiglia Bruni Petrella è stata condannata all’ergastolo nel 1993 tra l’altro per aver
organizzato l’omicidio di un commissario di polizia a Roma nel 1981. Il
governo di Parigi, dove si era rifugiata, aveva deciso di estradarla nel
2007, ma il presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy ha deciso di
rinunciare all’estradizione per "motivi umanitari", dietro pressione fra
l’altro della moglie Carla Bruni-Sarkozy e della cognata, l’attrice Valeria
Bruni Tedeschi.
Petrella: rimpianto è un parola tropppo debole "La perdita di una vita umana è sempre una tragedia e una
sofferenza incommensurabile per i parenti", scrive Petrella nella sua
lettera, datata 19 luglio. "È una cosa che sentivo anche quando,
trent’anni fa, ho creduto e partecipato, con migliaia di altri, a un
movimento rivoluzionario armato che voleva cambiare il mondo. La
scelta è stata sofferta. Il dolore delle vittime mi ha sempre
accompagnato. Gli unici motivi che mi hanno impedito di esprimerlo
sono stati il pudore e il rifiuto di trarne un qualsiasi vantaggio
personale. Rimpianto è una parola troppo debole per me, e soprattutto
una parola che spesso impegna poco.
Da vent’anni, con una forma di non violenza attiva, ho provato a fare
un modo che i miei atti fossero una testimonianza più autentica
rispetto alle mie parole.
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