Milano - È la sigla della paura, l’acronimo sinistro quasi quanto le tre K del Ku Klux Klan. Tre semplici lettere, per uno dei più complicati rebus economici degli ultimi anni: Wti, ovvero West Texas Intermediate, cioè il petrolio trattato alla Borsa di New York. Da quando, venerdì scorso, il barile di oro nero è arrivato a solleticare la vetta dei 140 dollari il barile facendo impazzire i sismografi delle Borse internazionali (Wall Street ha perso oltre il 3%, Milano il 2%), i timori di una recessione su scala planetaria si sono amplificati. Peggio: c’è già chi immagina un triste revival degli anni ’70, scandito dalla stagflazione, un mix terribile fatto di inflazione e crescita economica stagnante e perciò difficile da debellare. Una situazione critica che preoccupa Silvio Berlusconi. A un giovane imprenditore che ieri, a Santa Margherita, chiedeva al premier come andassero le cose, il Cavaliere ha replicato: «Sto come si può stare con una situazione di caro petrolio così».
Domani, alla riapertura dei mercati, tutti gli occhi della comunità finanziaria mondiale saranno dunque forzatamente puntati proprio lì, sui prezzi ballerini del Wti e su quelli altrettanto volatili del Brent, il greggio di riferimento della City londinese. Comunque vada (e potrebbe anche andar peggio di venerdì), lo scenario di fondo non cambia. A essere pessimisti, si rischia solo di essere realisti, considerando le previsioni a brevissimo termine che danno il barile proiettato a 150 dollari. Non ci vuole molto, ormai. Basta un sussulto geo-politico, l’attacco a un impianto petrolifero, o qualche hedge fund deciso a soffiare sul fuoco della speculazione e l’immaterialità dei contratti future è pronta a procurare altri danni - molto materiali - ai portafogli di tutti.
A cominciare dalle categorie più colpite dai rincari dei carburanti, gli autotrasportatori e i pescatori, i cui margini di guadagno si sono progressivamente erosi, se non addirittura annullati, sotto i colpi del caro gasolio. I primi, falcidiati dai fallimenti (3mila negli ultimi sei mesi), hanno chiesto ieri un decreto legge con misure tese ad adeguare i costi, lievitati di 174 euro in un anno (il calcolo è della Cgia di Mestre). Nell’incontro di domani con il ministro dei Trasporti, Altero Matteoli, i rappresentanti dei camionisti solleciteranno inoltre misure antidumping contro gli abusivi e proporranno di mutuare il modello tedesco che prevede l’impiego della polizia per il controllo della movimentazione delle merci.
E se i camionisti spagnoli minacciano di invadere Madrid con oltre 3mila mezzi pesanti, non meno dura è la protesta dei pescatori italiani: navi bloccate, traghetti scortati nelle capitanerie, camion carichi di pesce cui è stato intimato l’altolà (e nei ristoranti cominciano già a scarseggiare orate e branzini), in un crescendo di tensione senza confini. Anche i pescatori europei sono scesi in piazza per far sentire, ancora una volta, la loro voce. E Bruxelles ha promesso: «Faremo di tutto - ha spiegato il commissario Ue alla pesca, Joe Borg - per dare ai pescatori entro un paio di settimane un aiuto concreto». Si vedrà.
Poi, ci sono le famiglie. I movimenti dei consumatori, ripresa in mano la calcolatrice, hanno rifatto il conto. Ovviamente, è più salato: una stangata da 1.255 euro che considera l’incremento del 4% sulla bolletta energetica imposto da un petrolio a ridosso dei 140 dollari. La richiesta: un nuovo taglio sulle accise per far respirare i bilanci domestici. Difficile però prefigurare soluzioni a livello internazionale. Ieri, il Gruppo dei cinque (Stati Uniti, Giappone, Cina, India e Corea del Sud) ha espresso «forte preoccupazione» per il surriscaldamento del petrolio alla vigilia del weekend dei lavori che vedrà impegnati i ministri dell’Energia del G8 (oggi interverrà il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola), ma l’interrogativo sulle cause del caro-greggio è sempre lo stesso: carenza di offerta (come sostengono gli Usa), o speculazione (come motiva l’Opec)? La domanda è ancora senza risposte, anche se la Russia ha sostenuto ieri che il Cartello dei Paesi produttori può far ben poco per calmierare i prezzi.
Il presidente Dmitri Medvedev, senza temere l’incidente diplomatico, ha poi aggiunto di considerare «egoista» l’America e le sue multinazionali e di essere convinto che l’ex Paese sovietico dispone delle risorse energetiche per aiutare un pianeta sempre più affamato di energia. E sempre più col petrolio alla gola.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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