Petrolio ancora record toccati i 78,64 dollari

Bp blocca la produzione di un giacimento in Alaska. Persi 400mila barili al giorno. Frenano le Borse

da Milano

Ed è di nuovo record: spinto dalla decisione della Bp di bloccare la produzione del più grande giacimento americano, quello di Prudhoe Bay, in Alaska, e dalle tensioni crescenti in Medio Oriente, ieri il Brent ha raggiunto a Londra il massimo di 78,64 dollari al barile, superando l’ultimo tetto dello scorso 17 luglio, quando fu toccata quota 78,18. A New York il Wti ha sfondato il tetto dei 77 dollari. L’Opec ha assicurato che cercherà di adeguare la propria produzione, ma la soglia (anche psicologica) degli 80 dollari al barile si avvicina sempre più. E fra due mesi la domanda tornerà a salire con l’inverno.
Le Borse europee hanno reagito con diffusi ribassi (quelle che sono andate meglio come Londra e Milano hanno perso intorno allo 0,8-0,9%, le altre, tutte oltre l’1%), mentre a New York in serata regnava l’incertezza, con i trader che da un lato erano stretti dalle cattive notizie provenienti dal fronte petrolifero e dall’altro erano in attesa che oggi la Fed annunci lo stop al rialzo dei tassi. I timori che l’aumento del costo del greggio possa frenare l’economia sembrano farsi più consistenti su tutte le piazze finanziarie. Ovviamente molti titoli petroliferi hanno registrato rialzi, soprattutto a New York, ma è arretrata l’Eni (-1%) e la Bp ha risentito del contraccolpo della chiusura dell’impianto in Alaska, con un calo del 2,12%.
Quello di Prudhoe è il più grande impianto petrolifero degli Stati Uniti e la chiusura farà scendere di 400mila barili al giorno la produzione di olio alaskano, circa la metà del potrolio estratto in quello Stato, che pesa per l’8% sul totale della produzione americana. E gli Stati Uniti da soli assorbono un quarto della produzione mondiale di greggio: il segretario Usa all’Energia, Samuel Bodman, ha dichiarato che in caso di necessità si potrà fare ricorso alle riserve strategiche americane. Parte del greggio mancante potrebbe essere inviato a ovest trasportandolo con chiatte o, più praticamente, si potranno fare scambi tra le raffinerie. Il fatto è che i margini di manovra della produzione petrolifera sono estremamente ristretti e basta pochissimo per far schizzare i prezzi.
L’altro «fronte» che spinge i prezzi petroliferi è quello mediorientale: Standard & Poor’s in uno scenario definito «poco probabile», ma anche «lontano dall’essere il peggiore degli scenari e che al contrario potrà essere il migliore», sostiene che il costo del petrolio potrebbe salire fino a 250 dollari al barile se l’Iran bloccherà lo stretto di Hormuz, passaggio strategico del Golfo Persico. L’Iran è il quarto esportatore mondiale, ma il blocco di Hormuz avrebbe riflessi anche sulle esportazioni di Arabia Saudita, Qatar, Emirati e Kuwait riducendo del 20% la disponibilità mondiale di greggio e innescando pesanti contraccolpi su tutte le economie. In particolare si potrebbe arrivare a una crisi come quella che si verificò tra l’80 e l’82.

Se invece l’Iran non fosse coinvolto i prezzi, sempre secondo S&P, potrebbero scendere verso i 70 dollari intorno a fine di quest’anno e persino a 60 per la fine del 2008, il che potrebbe permettere un rilancio dell’economia dopo un rallentamento nel 2007.

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