Il pg della Cassazione bacchetta le toghe: «Duelli tra star»

RomaNelle intercettazioni telefoniche, come nelle perquisizioni, «il diritto fondamentale» da tutelare è quello della privacy. Che può essere limitato solo in pochissimi casi, se è «proporzionato» il bilanciamento tra interesse generale e quello del singolo. Parole del procuratore generale della Corte di Cassazione, membro di diritto del Csm e titolare con il Guardasigilli per potere disciplinare.
Vitaliano Esposito è un colto magistrato napoletano d’altri tempi. Anche per questo parla poco. Fa rarissimi interventi pubblici e l’ultimo ufficiale che si ricorda è quello solenne di fine gennaio, all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Ma un paio di settimane fa ha partecipato nella sua città ad un seminario dell’Istituto italiano per gli studi filosofici sul tema: «Le utopie possibili: Napoli, la città dei diritti». E lì ha fatto un dotto discorso che chiarisce il suo pensiero su come la magistratura dovrebbe essere e non è.
Delle intercettazioni è arrivato a parlare denunciando i pericoli della crisi della giustizia, dallo sconfinamento tra i poteri dello Stato alla politicizzazione delle toghe, alla luce della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
A Palazzo de’ Marescialli, dove Esposito fa parte del Comitato di presidenza con il vicepresidente Nicola Mancino e il Primo presidente della Cassazione Vincenzo Carbone, il testo passa di mano in mano e diversi togati si sentono sotto accusa o, almeno, chiamati in causa per tante battaglie corporative fatte in questi anni.
Il primo pm d’Italia parla infatti del «diniego di giustizia», ricordando appunto la sua relazione di gennaio. Dice che tra le cause «del disfacimento» c’è l’incapacità della legge a dare regole certe e adeguate ai tempi alla società civile. «E la legge - dice Esposito - ha bisogno del giudice, e della sua discrezionalità, per essere integrata nei suoi contenuti. Ma la discrezionalità, certo ineludibile, non può essere senza regole e presuppone la fairness, la correttezza processuale».
Se manca questa e mancano le regole lì, per il procuratore, «si annida il rischio dell’arbitrio, dell’imprevedibilità dell’azione dei pubblici ministeri, della non uniformità del loro agire e, quindi, della violazione dei principi di eguaglianza e di certezza del diritto». Così, il magistrato può inseguire il «consenso dei cittadini, se non addirittura del popolo», diventare politicizzato ed entrare nello scontro tra le parti politiche». È un fenomeno che mette a rischio i sistemi democratici e viene definito «espansione globale del potere giudiziario».
Esposito cita, con preoccupazione, le polemiche sulle candidature al prossimo Csm che nascerà a luglio. «Si parla di primarie, di correnti di sinistra, di centro, di destra, di sponsorizzazioni e di duello tra star», nota, e i giornali scrivono che «le toghe sembrano partiti». Si contrappongono magistrati «garantisti e giustizialisti e ciò «maschera il diverso atteggiamento verso il fenomeno del crimine in generale e di determinate categorie di reati».
Una distinzione che per Esposito va «decisamente contrastata, perché in essa si annida un germe pericoloso per ogni società democratica». Come? Individuando «un punto, oggettivo e non soggettivo, di equilibrio tra i diritti del singolo e le esigenze di tutela della collettività».
Eccoci alle intercettazioni telefoniche e alle perquisizioni, citate come esempio di casi in cui è il «diritto fondamentale del rispetto alla vita privata (articolo 8 della convenzione)» che, secondo la Corte europea, deve prevalere. E interpretato «in maniera evolutiva ed estensivamente», mentre con interpretazione «restrittiva» vengono stabilite le limitazioni consentite a questo diritto, sotto forma di «ingerenza dell’autorità per uno dei fini tassativamente previsti (sicurezza nazionale, difesa dell’ordine e prevenzione delle infrazioni penali, protezione della salute, eccetera)».
Esposito fa risalire questi principi all’illuminismo giuridico napoletano e al giusnaturalismo dello studioso settecentesco Mario Pagano. Ma arriva al «controllo di legalità» di cui parla anche Luciano Violante nel libro «I magistrati» e ai richiami del presidente Giorgio Napolitano.


Qui il procuratore lancia il suo appello ai magistrati, perché «si attengano rigorosamente alle loro funzioni e, estranei ad ogni conflitto con le parti politiche, svolgano l’unica politica loro consentita, che è quella della legalità, correttamente intesa».

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