«Più che a Celentano mi sono ispirato a Giorgio Gaber»

Morandi presenta il suo disco «Il tempo migliore» ma smentisce sinergie con lo show in tv. «Ho votato Unione ma ne sono deluso»

Paolo Giordano

nostro inviato a Bologna

Lui ci prova, per carità, per mezz’ora sta pure dritto in piedi, qui in una saletta dell’hotel Baglioni, a spiegare com’è il suo nuovo ciddì, che è il trentaquattresimo; che è un «kolossal» perché è stato registrato in dieci studi diversi; che speriamo resista nel tempo ma si capisce solo «quando poi le canzoni le canti dal vivo». Però ce l’ha scritto in fronte, Gianni Morandi, che oggi sta facendo il doppio lavoro e che la sua attenzione è irrimediabilmente qualche chilometro più in là, a Forlì, dove stanno già montando il palco per la seconda puntata di Non facciamoci prendere dal panico, lo show di Raiuno che prova a combinare i suoi due mestieri: il cantante e l’intrattenitore di prima serata. Perciò sbrighiamoci: il nuovo ciddì di Gianni Morandi si intitola Il tempo migliore, arriva dopo i due best seller pubblicati dalla Sony, L’amore ci cambia la vita e A chi si ama veramente, e sfoggia musiche e testi firmati da gioiellieri della canzone come Guido Morra, Maurizio Fabrizio, Mauro Malavasi e Domenico Di Graci. «È un disco ragionato», spiega Morandi in piedi e probabilmente è stata impiegata più energia per il bel singolo Il tempo migliore o per Tanto è solo un gioco che per la sbiadita tiritera composta da Andrea Mingardi e Maurizio Tirelli, Amor y cha cha cha. Ma questi sono dettagli, appunto i trentaquattresimi della sua carriera iniziata quando i Beatles vivevano ancora a Liverpool, al Quirinale c’era Giovanni Gronchi e a lui insomma «veniva da ridere quando cantavo Fatti mandare dalla mamma». Ora che ha sessantadue anni e, come dice serioso, «alla mia età ci si fa anche delle domande», chiede a bruciapelo: «Che cosa mi manca per diventare come Yves Montand o Juliette Greco, un simbolo, una leggenda?». Chissà, forse la fedeltà al proprio repertorio. Oppure meno frenesia televisiva. A quattro anni dal famoso show smutandato («La mia immagine in mutande è una persecuzione, me la metteranno anche sulla lapide»), Morandi è tornato con Non facciamoci prendere dal panico, che giovedì a Bolzano ha raggiunto il 21 e rotti per cento di share, ha vinto la serata ma non ha convinto i critici. «Si può sempre fare meglio, ma anche molto peggio» spiega lui, che a dire il vero non sprizza gioia. Qualcuno, anzi quasi tutti, hanno accusato di celentanite il monologo che ha battezzato il ritorno in Rai, chiaramente ispirato al famoso tormentone «rock/lento», e hanno caricato le recensioni a canne mozze. «In realtà – dice lui finalmente seduto – più che Celentano a ispirarmi sono stati Iannacci e soprattutto Giorgio Gaber con il suo pezzo Destra sinistra». Può darsi (ma uno dei suoi autori, Diego Cugia, è lo stesso di Rockpolitik). In ogni caso, dice, «la mia è una sfida. In questi anni la televisione è cambiata molto e io penso di aver raggiunto un risultato eccezionale parlando di Pasolini in prima serata e vincendo gli ascolti con quello che è l’unico varietà su sette reti tv». Però, Morandi, è casuale la pubblicazione di un disco proprio quattro giorni dopo il ritorno in tivù? «In realtà – risponde subito – i due progetti sono distinti. Il cd è stato ultimato a giugno, quando del programma ancora non si sapeva quasi nulla. La mia casa discografica avrebbe voluto più sinergia tra musica e tivù, io no». Però marciano di pari passo. Vestito come da quarant’anni tutti se lo immaginano, camicia bianca e pantaloni blu, Morandi taglia corto e annuncia i nuovi dettagli della prossima puntata. Arriveranno Lucio Dalla, Francesco De Gregori («Con lui mi piacerebbe fare Rimmel oppure Generale») e Paul Anka, che è anche pronto a registrare un duetto con, casualità, Adriano Celentano nel superclassico Diana. Paul Sorvino, poi, stavolta avrà più spazio perché è uno dei protagonisti dello show che «ancora bisogna valorizzare». Chi invece non parteciperà sarà Silvio Berlusconi, che ha declinato spiegando che «voglio dedicarmi alla politica, anche se ho scritto sei o sette belle canzoni che le vorrei fare ascoltare».

Prodi, invitato per par condicio, è stato invece più possibilista ma al suo arrivo negli studi non gioverà l’esternazione di Morandi: «Ho votato Unione ma non ne sono soddisfatto». E volendo, questa è la notizia di giornata.

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