Per poter andare in ferie, l’onorevole Pietro Marcazzan s’è dovuto ammalare. Broncopolmonite. Roba seria: due mesi di ricovero all’ospedale Carlo Poma di Mantova. «Più che in ferie, stavo andando al Creatore. Hanno dovuto intubarmi». Dopo averlo salvato, i medici gli hanno concesso una licenza-premio: tre settimane di convalescenza a Tignale, sulla sponda bresciana del lago di Garda, accudito dalle suore della Mater Dei, casa di vacanze gestita dalla Caritas di Cremona.
L’uomo giusto al posto giusto: Marcazzan, 51 anni, parlamentare dell’Udc, orfano dei contadini Giovanni e Argenide, è il più povero di Camera e Senato. Ultimo reddito disponibile, dichiarato nel 2010 per l’anno precedente: 10.330 euro. Lordi. Di conseguenza, prima d’essere costretto ad affidarsi alla Caritas, il deputato ha sempre passato le sue ferie qui a Goito, nel Mantovano, il paese natale in cui è stato consigliere comunale e assessore democristiano e poi sindaco con una lista civica. L’appartamentino dove abita, 92 metri quadrati, è al primo piano di un condominio in zona Peep che ospita sette famiglie e il centro estetico Daniela. Ci vive da solo perché è celibe. Ogni tanto le sorelle maggiori, Graziella e Rita, passano a rassettarglielo. L’ha acquistato nel 1992 con mutuo ventennale: «Mi costa 258 euro di rata mensile».
Nel budget dell’onorevole Marcazzan, la seconda voce di spesa è l’acquisto di libri: «Ogni mese dai 30 ai 50 euro». Ristorante mai, men che meno al Bersagliere di Goito, e non solo perché è stato chiuso dopo la scomparsa del patron Roberto Ferrari che era arrivato ad avere due stelle sulla guida Michelin: «Io, al massimo, sono da trattoria. E non più d’una volta al mese». Vestiti mai: «Solo spezzati, giacca e pantalone. Diciamo che per l’abbigliamento non supero gli 800 euro l’anno, toh. Scarpe comprese».
Nello studio di casa il deputato udc tiene sei bandiere, con tanto di porta aste: Italia, Unione europea, ex Urss, Stati Uniti, Federazione russa, Gran Bretagna. «Incarnano i Paesi del cuore. Meglio: i popoli del cuore». Uno dei pennoni culmina con lo stellone della Repubblica italiana, manco fossimo in una sede diplomatica o in un ufficio statale. Lo spreco di vessilli, in netto contrasto con la vocazione minimalista del padrone di casa, ha una sua spiegazione. Da giovane Marcazzan girava il mondo. Appena quindicenne ha soggiornato a Londra. Poi ha frequentato il quarto anno delle superiori ad Annapolis, capitale del Maryland, acquisendo il diritto d’accesso a tutte le università americane. Dall’84 all’85, regnante il brezneviano Konstantin Cernenko, ha studiato all’Istituto Pushkin di Mosca. Infine s’è laureato in lingue e letterature straniere all’Università di Verona. Parla correntemente russo, inglese, francese e spagnolo. Ha insegnato per 16 anni l’inglese nei licei e ha accompagnato più di 500 studenti in soggiorni di studio fra Usa, Regno Unito e Irlanda. Eletto per la prima volta alla Camera nel 2006, da membro della commissione difesa adesso si limita a girare nelle basi militari. Ma solo di lunedì o di venerdì, in modo da non mancare ai lavori nell’aula di Montecitorio.
Perché è in politica?
«Non si metta a ridere: per il desiderio di dare un contributo alla mia comunità».
Che effetto le fa essere il più povero del Parlamento?
«Nessuno. Un uomo non dipende da ciò che ha, ma da quello che è».
Com’è riuscito nel 2009 a campare con 10.330 euro lordi? Significano circa 700 euro netti al mese, tredicesima inclusa.
«C’è un motivo. Nel 2008, concluso il mio primo mandato parlamentare, ho chiesto un’aspettativa per accudire fino alla morte mia madre, che era gravemente malata. Ho ripreso l’insegnamento soltanto a settembre del 2009. Perciò nella denuncia dei redditi sono entrati soltanto gli ultimi quattro stipendi di quell’anno. Dal 15 settembre 2010 sono tornato in Parlamento, perché la deputata Anna Teresa Formisano ha optato per la circoscrizione Lazio 2 e io le sono subentrato».
Il suo collega Silvio Berlusconi ha guadagnato 3.959 volte più di lei.
«Mi lascia indifferente. Ho appagato tutte le mie aspirazioni, prima fra tutte scrivere testi letterari e politici. Ogni giorno posso leggere il mio amato Dante e la Bibbia. Mi appassionano anche la letteratura dell’Ottocento e la poesia. E riesco a dedicare tre ore di studio quotidiano alle lingue, che altrimenti avrei già dimenticato».
Quanto guadagnava al mese come docente?
«Intorno ai 1.550 euro netti».
E adesso quanto prende?
«L’indennità parlamentare è di 5.200 euro netti mensili. Va aggiunta la diaria: 3.500 euro per vitto e alloggio. Io ho optato per un miniappartamento di 67 metri quadrati adiacente alla Camera: mi costa 1.500 euro d’affitto. Poi abbiamo 1.100 euro per i trasporti, cioè il taxi per raggiungere da casa le stazioni, gli aeroporti e il Parlamento, e viceversa. Treni e voli sono invece gratis su tutto il territorio nazionale».
Dimentica nulla?
«Mi rimborsano anche 3.690 euro al mese per i collaboratori, che diventano 2.690 perché 1.000 li trattiene il partito. A Roma io di collaboratori ne ho due, regolarmente contrattualizzati, che mi costano l’intera cifra. Anzi, devo aggiungerci 500 euro di tasca mia per integrarla».
Il barbiere no?
«Il barbiere? Ma le pare che possa andare da quello di Montecitorio? Guardi, non so neppure dove si trovi. Qui a Goito il mio barbiere era il compianto Martini. Morto lui, mi arrangio in casa con l’aiuto delle mie sorelle e di un tagliacapelli elettrico».
E i 3.098 euro l’anno per spese telefoniche? Le sembrano congrui? Fanno 258 euro al mese, più della metà di una pensione minima.
«Sa perché non li ho citati? Perché non li ho mai visti. Vengono spesi prima che mi arrivino. Lei consideri questo: per far ottenere il visto a un’ucraina di Leopoli sposata con un goitese abbiamo fatto 22 telefonate all’ambasciata italiana di Kiev. E ogni giorno è così: telefonate in Africa, telefonate negli States...».
Usate Skype, che è gratis.
«Usiamo la Telecom».
A quali di queste prebende non rinuncerebbe?
«Se si vuole operare seriamente, un ufficio serve. Rappresento una circoscrizione elettorale che comprende Mantova, Cremona, Lodi e Pavia».
Le pare giusto che voi siate l’unica categoria la quale, dopo cinque anni di mandato, riceve una pensione a partire dal 65° anno di età?
«No, questo è un privilegio che si può sopprimere».
Il suo ex collega democristiano Gerardo Bianco, 80 anni fra un mese, ha messo le mani avanti: «La minacciata cancellazione dei vitalizi non può incidere sui diritti acquisiti. Il vitalizio non è una pensione, ma un’assicurazione di vita volta a garantire anche nel futuro l’indipendenza del parlamentare».
«Eh be’, dovrà farsi bastare la pensione del mestiere che svolgeva in precedenza».
Magari ha fatto solo il politico. Sa quanti sono i suoi colleghi che non hanno mai lavorato?
«Mi dispiace per loro. La politica non è un lavoro. Lo escludo a priori. Altrimenti mi spieghino qual è la motivazione. La politica può rientrare soltanto fra le passioni dell’anima descritte da Cartesio, senza le quali non c’è vita. Io seguo la lezione dell’indimenticabile Amintore Fanfani: “Prima un lavoro, poi la politica”».
Che ne direbbe se, fatti salvi i rimborsi per le trasferte e il soggiorno nella capitale, a deputati e senatori venisse versato il medesimo stipendio che incassavano per la professione svolta prima d’essere eletti?
«Sarei d’accordissimo».
Nella sua veste di parlamentare si sente amato o disprezzato dalla gente?
«Qui a Goito, amato. Quando salgo sui treni o sugli aerei, disprezzato. Prima di ridurre i costi della politica, dovremmo riempire il baratro che s’è creato fra la politica e la gente».
E come?
«Bel problema. Intanto bisognerebbe che i politici tornassero fra la gente, invece di starsene chiusi nel Palazzo. Tornare in senso fisico, intendo. Da quando avevo 14 anni, io ho sempre usato i mezzi pubblici. Altrimenti come la conosci la gente?».
Ma questi benedetti tagli ai vostri privilegi li avete fatti o no?
«In maniera molto, molto, molto edulcorata. Manca il coraggio di mettere mano al ginepraio. A cominciare dal numero dei deputati: 630 sono troppi, ne basterebbero non più di 400. Idem i senatori: 160 anziché 321. Ho presentato il 24 novembre scorso una proposta di legge di due soli articoli sull’utilizzo delle autovetture in dotazione alle amministrazioni dello Stato».
Che cosa stabilisce l’articolo 1?
«Che l’auto di servizio è riservata soltanto al presidente del Consiglio. Tutti coloro che hanno ricoperto in passato cariche pubbliche perdono il diritto a usarla».
Ma quanti sono gli ex che viaggiano ancora sulle autoblù?
«Non sono andato a controllare. Foss’anche uno solo, per me sarebbe già troppo».
Si può sapere almeno quante sono le autoblù?
«A mio giudizio i numeri che vengono dati non corrispondono alla realtà».
Ho letto da qualche parte che sarebbero addirittura 600.000.
«Ho la vaga impressione che il fenomeno sia sfuggito di mano. E badi bene che è solo un discorso di status: i miei colleghi e i grand commis pretendono l’autoblù per sentirsi importanti».
Ci costerebbe meno mandarli in taxi.
«Macché taxi! Tutti i deputati del Regno Unito scendono alla stazione del metro di Westminster, di fronte al palazzo che ospita le due Camere del Parlamento».
La proposta per eliminare le autoblù che fine ha fatto?
«Assegnata il 18 gennaio alla commissione affari costituzionali e mai discussa».
Di chi è la colpa?
«Suppongo che il presidente Gianfranco Fini avrebbe potuto sollecitarne l’esame, se gli stesse a cuore».
Lei ha mai usato un’autoblù?
«Mai. Solo metropolitana e taxi».
Possiede un’auto sua, almeno?
«Sì, una Ford Fiesta del 1992, che ha 60.000 chilometri».
Che altri tagli farebbe?
«Abolirei le Province: nel 2008 era una delle promesse contenute nei programmi elettorali di tutti i partiti. Ridurrei le Regioni: 20 sono un’enormità. Le limiterei a cinque: Nord Ovest, Nord Est, Centro, Sud e Isole. Cancellerei le circoscrizioni: bastano e avanzano i Consigli comunali».
E tutto il personale che lavora in questi enti, dove lo manda?
«Si blocca il turnover. Nel giro di 10-15 anni la riforma va in porto senza spargimento di sangue».
Solo 123 parlamentari su 945, appena il 13,02 per cento, ha dato l’assenso per la pubblicazione della propria situazione patrimoniale su Internet. Ho cercato il suo cognome e non l’ho trovato.
«Impossibile. L’assenso l’ho dato. Fino a che data ha controllato, scusi?».
Ultimi quattro anni, dal 2008 al 2011.
«Verificherò».
Le dico di più: ho cercato sul sito della Camera una pagina che riepilogasse questi dati. Non c’è. Oppure l’hanno nascosta bene. L’ho trovata solo sul sito dell’associazione Openpolis.
«È inquietante».
Non c’è traccia online neppure dello stato patrimoniale di Fini, che come presidente della Camera dovrebbe dare il buon esempio ai colleghi, non crede?
«Ah be’, certamente. Ma ribadisco che io non ho opposto alcun divieto alla divulgazione, ci mancherebbe!».
Magari Fini non vorrà far sapere d’avere comprato un appartamento in qualche amena località turistica, chissà.
«Per me è utopia. Non ho certo case di vacanza né in Italia né all’estero. Anche perché per giungere ad avere tutto, bisogna non voler possedere niente, come raccomandava San Giovanni della Croce».
Si trova bene con Fini nel terzo polo?
«Opterei per un percorso diverso».
Ma Casini, Fini e Rutelli con chi pensano di formarlo un ipotetico nuovo governo? Lei lo sa?
«È un aspetto da chiarire. L’unica cosa sicura è che il bipolarismo ha fallito. Potremmo diventare il primo polo se solo fossimo capaci di seguire l’insegnamento di don Luigi Sturzo: “Poche promesse, ma quelle poche mantenerle”».
Favorevole o contrario a un accordo Udc-Pd?
«Il mio elettorato è per l’alleanza col centrodestra».
Di che cosa ha più bisogno la politica?
«Di etica, di etica, di etica.
(555. Continua)
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