Più produttività, meno ricerca: le due «velocità» delle multinazionali

Multinazionali sempre più internazionali, con una forza lavoro più produttiva ma meno remunerata. Lo dice l’ufficio studi di Mediobanca, la Ricerche e Studi (R&S), nella sua quattordicesima indagine annuale sul settore, che continua a vedere l’Italia in un ruolo secondario. Facile partire dalle multinazionali per capire l’evoluzione dell’intera galassia della produzione e del lavoro. Sono 368 quelle individuate da Mediobanca: impiegano circa 28 milioni di persone nei cinque continenti, coprendo da sole il 15% del fatturato nordamericano, il 17% di quello europeo e il 32% di quello giapponese. La parte del leone la fanno le aziende energetiche seguite dai produttori di mezzi di trasporto (auto, aerei, treni). Mentre l’Europa vanta il primato delle multinazionali alimentari, chimico-farmaceutiche e meccaniche. Ovvero oltre la metà di queste corporation fa base nel Vecchio continente.
In Italia, spiega il rapporto, le multinazionali sono 17 per 700mila dipendenti. È l’Eni la numero uno (sesta nella graduatoria del settore petrolifero mondiale), con attivi per oltre 106 miliardi di euro. Poi Fiat, Enel ma anche nomi come Pirelli, Prysmian, Buzzi Unicem, Indesit e Barilla. Pesano sul Pil nazionale per il 14.2%, meno della media continentale, a conferma della vocazione della nostra economia per le piccole e medie imprese. E c’è anche tanto Stato nello Stivale. Il giro d’affari che fa capo al capitale pubblico è quasi il 50% del totale, in controtendenza rispetto al dato europeo, solo il 20%.
È però sul fronte del lavoro che emergono le tendenze più interessanti. Gli impiegati delle multinazionali sono sempre più «globalizzati». In azienda l’inglese si afferma come prima lingua e in Europa, tra il 1998 e il 2007, i dipendenti con lo stesso passaporto del datore di lavoro sono scesi dal 44 al 33,5%. Ma è guardando al rapporto tra salari e produttività che si riscontra il dato forse più inatteso. In dieci anni, in Europa, la produttività del lavoro è aumentata del 36% a fronte di un aumento del costo del lavoro di soli 18 punti. In parole povere, dice Mediobanca, nelle multinazionali si lavora di più per stipendi sempre più sottili. E non si può peraltro dire che ne abbiano beneficiato gli investimenti in ricerca e sviluppo. A fine 2007 le multinazionali europee indirizzavano a questo fine una quota dei loro ricavi di circa un quarto inferiore rispetto a quello che facevano nel 1997.


Non mancano nel rapporto indicazioni relative alle sorti recenti delle grandi aziende, che sulla loro pelle stanno sopportando le conseguenze della recessione economica. Il primo trimestre del 2009, spiega R&S, ha già visto una riduzione del fatturato complessivo delle multinazionali pari al 26% e una contrazione degli utili prodotti di oltre il 75%.

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