«Piano Fiat, ultimo treno No al suicidio dell’Italia»

Guardando dentro la palla di cristallo, Luigi Angeletti, segretario generale della Uil, aveva visto giusto con un giorno d’anticipo: «Nel piano Fiat non ci saranno esuberi». E così è stato. «La presenza di eccedenze tra i lavoratori - spiega ora dal suo ufficio romano - avrebbe significato che il Lingotto doveva fare una scelta industriale opposta a quella illustrata: dismettere, cioè, le attività industriali in Italia e ricollocarle all’estero. Da parte nostra abbiamo sempre chiesto a Fiat che producesse le sue auto nei Paesi con alle spalle anni di industrializzazione. La vera sfida per Torino è quella di produrre rispondendo a ragioni economiche. Fare auto in Italia, insomma, per l’azienda dev’essere conveniente come se le sfornasse in Francia o in Germania».
A Sergio Marchionne governo e sindacati chiedevano un piano industriale per l’auto. E lui lo ha presentato. Inutile dire che i contenuti hanno spiazzato tutti: nessuno si aspettava il rafforzamento della presenza di Fiat in Italia e 30 miliardi di investimenti sul piatto.
«Penso che non esistano alternative a questa sfida e che nessun sindacato possa ritenere di respingere un progetto del genere, assumendosi la responsabilità di far fallire un’iniziativa che da anni non si vede nel nostro Paese».
Per l’Italia, dunque, è una sorta di ultimo treno?
«Sicuramente. Noi non abbiamo alcuna vocazione al suicidio o di voler trasformare l’Italia in un Paese in via di sottosviluppo. È una sfida che va raccolta e vinta».
Ma c’è chi la pensa diversamente, come Giorgio Cremaschi della Fiom, il quale anche ieri ha parlato di «prepotenza, arroganza e ricatto da parte di Fiat». Visto come la pensate lei, Raffaele Bonanni della Cisl e altri sindacalisti, Cremaschi e chi ragiona in questi termini sarà abbandonato al suo destino?
«Sicuramente, se dovesse continuare a sostenere queste tesi».
Vede in casa Cgil, una volta uscito Guglielmo Epifani, un futuro meno intransigente?
«Il cambio del segretario è un problema loro. Penso solo una cosa semplice: non possono credere che il mondo si fermi semplicemente perché non hanno deciso che cosa fare. Il mondo, infatti, va avanti a prescindere. E così gli accordi da fare con le imprese e i modelli contrattuali».
Intanto gli operai votano per la Lega.
«Diciamo che continuano a votare per la Lega. Già 10 anni fa un nostro sondaggio aveva rilevato che nelle aziende metalmeccaniche il primo partito era quello della Lega. La richiesta che arriva dalla base è quella di interpretare e lavorare sui bisogni e le attese della gente. Il ruolo del sindacato non è quello di sostenere questo o quel partito, ma di rappresentare gli interessi dei lavoratori e fare in modo che siano adottate politiche vantaggiose. Dico solo che i sindacati non portano voti, però li possono far perdere».
Torniamo al piano Fiat. Lo accettate a scatola chiusa o ponete dei paletti?
«Poniamo dei paletti semplici e logici. L’accordo deve far sì che all’incremento della produzione corrisponda quello dell’occupazione. In Italia esistono già casi dove si applica la flessibilità chiesta da Marchionne, anche nelle stesse fabbriche di Fiat. E per flessibilità si intende produrre auto quando queste si vendono. La flessibilità, comunque, dev’essere remunerata».
Quindi, chiedete a Marchionne di ritoccare le buste paga dei suoi operai?
«Lo scambio che chiediamo è questo».
E quanto chiedete?
«Le modalità faranno parte del negoziato. E poi c’è Termini Imerese... ».
Vicenda chiusa
«Se Fiat non vuole fare più auto in Sicilia deve almeno spiegare che cosa si produrrà in alternativa».
Ma Fiat sta già collaborando con l’advisor del governo in questa direzione.
«Ripeto, il problema dev’essere risolto con il contributo di Fiat. E noi siamo lì per vedere i risultati di questo lavoro».
Luca di Montezemolo si è dimesso da presidente. Ora i sindacati tratteranno solo con Marchionne. E se Montezemolo è più propenso, per natura, a dialogare e mediare, per Marchionne vale solo il «sì» o il «no».
«Negli ultimi anni il confronto è stato soprattutto con Marchionne. Personalmente preferisco interlocutori che dicono “sì” o “no”».
Timori che lo scorporo del Lingotto porti a cessioni, per esempio di Iveco o parte di Cnh?
«Lo spin-off evidenzia come la famiglia Agnelli abbia deciso di scommettere sull’Auto. Ma non credo che si sia in presenza di possibili disimpegni. Le società che lei cita sono oggetto di problemi legati alla situazione di crisi internazionale. Si riprenderanno».
Il piano B di cui ha parlato Marchionne?
«Sbagliato parlare di ricatto. Le scelte si fanno su basi industriali. Si deve produrre dove conviene e a certe condizioni. Bisogna essere realisti».


E un gemellaggio con il sindacato americano Uaw? Ci avete pensato?
«C’è da tempo, se si parla di ideologia. Dal punto di vista pratico avverrà se e quando ci sarà la fusione di Fiat con Chrysler».
Che cosa pensa dello spot «Fabbrica Italia»?
«Positivo, in funzione della produzione e dell’occupazione».

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