da Roma
È una storia talmente vecchia, quella dell’infinito duello conradiano tra Veltroni e D’Alema, che ormai annoia persino i diretti interessati. E però, nell’eterno presente della sinistra italiana, attraverso tutte le sue metamorfosi, la questione torna sempre. Sfiorando il ridicolo, a volte: «Ma vi rendete conto che è grottesco il fatto che lo stesso partito abbia due tv?», ha chiesto in piena direzione Pd, venerdì, il fassiniano Roberto Cuillo.
La stessa riunione di direzione in cui il silenzio ostinato dei dalemiani ha inquietato Veltroni. Si aspettava qualche critica alla linea di opposizione frontale che ha imboccato, di quelle già trapelate nei giorni scorsi. Invece, niente. «Non è il momento», spiegavano gli amici dell’ex ministro degli Esteri. Ieri si è capito perché: lontano dalle sedi di partito, la scena se l’è presa tutta D’Alema in persona. Che ha scelto la platea caprese, naturalmente ben disposta al messaggio che voleva mandare, per dire la sua. E per «raddrizzare una linea che ci sta portando su una china pericolosissima», come dicono i più affidabili esegeti del pensiero dalemiano.
Nessuna intenzione di «andare contro Walter in un momento tanto complicato», giurano. Ma «se il Pd si chiude nell’arroccamento antiberlusconiano», rifiutando al governo «persino la legittimità democratica di governare», e paragonandolo ai «peggiori autocrati sulla piazza» mondiale, «ci infiliamo in un angolo dal quale non usciamo più». Ecco dunque il messaggio di Capri: D’Alema riposiziona il Pd, guardando a Tremonti ma lanciando un segnale di appeasement anche a Berlusconi, col riconoscimento di essersi mosso bene per rassicurare mercati e opinione pubblica, e assicura loro che davanti alla nuova priorità dell’emergenza economica troveranno un interlocutore affidabile e collaborativo. Capace di «assumersi le sue responsabilità».
La presa di distanza dalla linea «anti-putiniana» del leader Pd è netta, per quanto i veltroniani si sforzino di minimizzare: «Non vedo una contrapposizione, anche Walter ha sempre insistito sul fatto che un partito riformista fa opposizione dura ma è anche capace di dialogare», dice Giorgio Tonini. D’altronde, il vertice di qualche giorno fa tra i due duellanti non era andato bene per niente, spiegano ai piani alti del Pd. «Aria fritta», era sbottato D’Alema con un esponente ulivista che gli chiedeva conto del colloquio col segretario. Veltroni voleva dare un segnale di concordia, dopo le divergenze dei giorni scorsi. Quelle sul caso Alitalia (secondo il racconto di Berlusconi, è stato D’Alema a far tornare sui loro passi Veltroni e Epifani) e quelle sulla ipotetica candidatura al Quirinale del Cavaliere, con D’Alema che dà via libera e Veltroni che dice «giammai». Ma la «tregua» non è durata. Ed è significativo che in direzione un dirigente del peso di Goffredo Bettini abbia taciuto, e che da Fassino (finora molto vicino al segretario) sia arrivata un’analisi preoccupata del livello di «sintonia profonda» tra il governo e i cittadini, e delle grandi difficoltà del Pd a «contrastare l’efficacia comunicativa di Berlusconi», e quel suo «decisionismo» che «può fare orrore a noi ma è in sintonia con la gente». Il muro contro muro non porta lontani, insomma. E ci sono nodi sempre rimandati che rischiano di esplodere: la collocazione internazionale del Pd, ad esempio. Durante la campagna elettorale europea bisognerà dire se gli eletti andranno nel Pse o faranno altro. E tra ex Ppi e rutelliani il malessere è tale che si paventa una scissione, in caso di scelta socialista.
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