Di questa settimana di passione della Lega conserverò negli occhi solo il ricordo della faccia di Bossi sul palco di Bergamo. La faccia di un cane bastonato, diranno i più superficiali, ricordando che alla fine Bossi ha davvero rassomigliato alle vignette su di lui. Ma c'era qualcosa di tragico nel suo sguardo ed era la faccia di un uomo che aveva perduto qualcosa di essenziale: il carisma, diranno i suoi devoti, l'arroganza padronale e celodurista, diranno i suoi nemici, il piglio sicuro del capo, diranno gli osservatori. C'era qualcosa di autentico e di spaventato, una certificazione pubblica di sconfitta, malattia e prigionia, politica e domestica.
Questa settimana gli è costata quanto l'ictus, anzi è stata un ictus politico. La malattia si è presentata prima con un cerchio magico alla testa, e non quello dei santi ma della cefalea; poi con una devastazione famigliare; infine con la smorfia mefistofelica di Maroni, a cui ha dovuto arrendersi.
Uno piangente, l'altro ridente; uno con la faccia scorata e depressa e l'altro, una maschera euforica e beffarda. Il resto è meglio dimenticarlo.
I cappi e gli slogan, l'odio verso gli idoli del giorno prima, la cacciata della Mauro «terrona pugliese» (Renzino e famiglia invece sono purissimi ariani padani), i discorsi sconclusionati e poveri, il grottesco Va' pensiero in assenza di pensiero. E in positivo le dimissioni, l'ammirevole repulisti, i mea culpa. Ma quel che resta è la faccia di Bossi, l'umanità ritrovata e lo sguardo come terrorizzato di chi ha visto l'orrore allo specchio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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