La piazza e le strane paure della Chiesa

A giudicare da quanto si sta muovendo, sembra proprio che la marcia del cosiddetto Family day del 12 maggio prossimo sarà una grande festa, sì, ma nient’altro. Non un mostrare i muscoli, non un avvertimento al governo, non una manifestazione di protesta. Come al solito, chi cerca di evitare lo scontro, chi cerca il dialogo, chi cerca di dire che la politica non c’entra, chi cerca di salvare almeno la faccia ai cattolici della maggioranza è da ricercarsi tra il clero. Già il Manifesto del Family day è stato apertamente disertato da «Pax Christi» (che ha come presidente un arcivescovo, quello di Pescara), «Beati i Costruttori di Pace» (presieduto da un prete), «Libera» (di don Luigi Ciotti), «Comunità di San Benedetto» (di don Andrea Gallo), «Comunità di Sammartini» (fondata da un monsignore), «Associazione Giovanni XXIII» (di don Oreste Benzi), «Rete Lilliput» (di don Vitaliano Della Sala), oltre alla storica «Fuci» (Federazione universitaria cattolica italiana). E aperti dissensi si sono verificati all’interno delle pur firmatarie Acli e dell’Azione cattolica. Come riferisce l’agenzia Corrispondenza Romana, l’arcivescovo di Pisa, Alessandro Plotti, ha auspicato che «questa giornata non assuma connotazioni di polemica politica, che sarebbero fuori luogo, pro o contro i Dico, questioni di cui si occupa il Parlamento». Si potrebbe chiedersi, allora, perché scomodare centinaia di migliaia di cattolici provenienti da tutto il Paese e costringerli a una giornata defatigante in piazza. Ma i toni chiari e tondi sono indigesti per non pochi all’interno del clero, che temono «crociate» e «guerre sante» più del diavolo stesso. Nel volantino sull’evento del 12 maggio, infatti, la pillola del «No al riconoscimento pubblico delle unioni di fatto» è addolcita da un «Sì ai bisogni dei conviventi». Certo, «bisogni» non è «diritti», ma non si capisce lo stesso che cosa voglia dire, visto che c’è già il codice civile. Insomma, è tutto un correre ai distinguo e all’automoderazione. Naturalmente, ciò avviene solo tra coloro che intendono partecipare al Family day, laddove sul fronte opposto è opposto anche il tipo di rincorsa: il presidente della Conferenza episcopale, Bagnasco, deve vivere sotto scorta; scritte minacciose e vandalismi compaiono in varie città; insulti apertis verbis alla Chiesa e al papa dal palco del concertone del Primo maggio; la contromanifestazione dell’orgoglio laico prevista lo stesso 12 maggio... E qualcuno, nel fronte del Family day, comincia a chiedersi se non sia il caso di lasciar perdere per evitare «provocazioni» e possibilità di incidenti. Nel nostro piccolo, a questo punto, una riflessione si impone: la piazza è «cosa loro», e la Chiesa non può permettersi il lusso di indire manifestazioni se non è neanche capace di mantenere la disciplina in casa sua. Troppi sono i preti e anche i vescovi «del dissenso», ed è noto che costoro hanno sui grandi media la visibilità continua e ossessiva che una adunata tantum, pur se oceanica, non avrà mai.

Un’ultima cosa: che senso ha dire che il Family day non è contro il governo, come se i Dico fossero un accidente calamitoso e non una precisa volontà legislativa? Se ci si priva della minaccia elettorale, che senso ha scendere in piazza?

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