MilanoLe ha provate tutte. Ha chiesto e richiesto di essere interrogato, ha presentato un corposa memoria scritta, ha addirittura catalogato e stampato le carte per favorire e accelerare il lavoro dei Pm. Nulla. Non è servito a niente. Dopo sette anni e mezzo linchiesta che è costata a Gaetano Pecorella il posto alla Corte costituzionale, è inchiodata al punto di partenza. Sembra impossibile, ma dopo sette anni e mezzo, le polemiche e gli articoli sui giornali, lindagine non è andata avanti di un metro. E si avvia oramai a scomparire definitivamente sotto la ghigliottina implacabile della prescrizione. Favoreggiamento e tentato favoreggiamento, recita il capo dimputazione che ipotizza una brutta storia: Pecorella e altri tre avvocati avrebbero brigato per salvare da una condanna pesantissima Delfo Zorzi, imputato principe della strage di piazza Fontana, difeso in corte dassise proprio da Pecorella. In particolare, i penalisti avrebbero pagato Martino Siciliano, uno dei cardini dellaccusa, per spingerlo a ritrattare.
Questo sulla carta perché in concreto due Procure, prima Brescia e poi Milano, si sono perse per strada Pecorella con lunico risultato di sbarrargli la via verso la Consulta dove è tornato, nei giorni scorsi, ma solo come legale di Silvio Berlusconi nellincandescente contesa del Lodo Alfano. Il nome di Pecorella, avvocato, deputato, ex presidente della Commissione giustizia della Camera, era circolato ripetutamente come candidato del centrodestra per Palazzo della Consulta. La stima e il consenso generali avevano però lasciato progressivamente il posto a una sorta di disagio e di imbarazzo, particolarmente negli ambienti del centrosinistra: «Lo voteremmo - ripetevano i big del Pd - ma cè quella macchia».
Alla fine, dopo un estenuante tira e molla e il tiro incrociato dellopposizione e dei franchi tiratori del centrodestra, la candidatura era stata ritirata e il Parlamento aveva trovato la convergenza sul nome di un altro penalista di razza, il bresciano Giuseppe Frigo. Che ha partecipato la scorsa settimana alla votazione che ha fatto a pezzi il Lodo Alfano. Insomma, il fuoco lento dellindagine ha finito col bruciare Pecorella che pure si era messo a disposizione dei Pm, anzi sollecitandoli a far presto. Invano.
Brescia ha tenuto il fascicolo per oltre cinque anni, poi ha chiesto il rinvio a giudizio di Pecorella e dellavvocato Fausto Maniaci. A questo punto, in udienza preliminare, il colpo di scena: il gip di Brescia ha accolto i dubbi degli imputatati che sin dal primo momento avevano sostenuto che la competenza fosse di Milano. Risultato: le carte sono state spedite a Milano dove sono arrivate dopo altri mesi e mesi, ormai sul filo della prescrizione. E dove, come vuole il codice, sono state restituite alla Procura che da allora non ha fatto più nulla. O quasi. Qui, Pecorella ha tentato il tutto per tutto chiedendo ripetutamente di essere almeno interrogato, ha indicato allaccusa le carte decisive per sciogliere i nodi investigativi, ha stampato e portato in Procura migliaia e migliaia di pagine. Non è servito. Tre capi dimputazione su quattro sono ormai prescritti, lultimo lo sarà fra qualche settimana. E il Procuratore aggiunto Corrado Carnevali riconosce con grande onestà intellettuale come sono andate le cose: «Brescia mi ha inviato dopo oltre cinque anni e ormai a un passo dalla prescrizione qualcosa come settecentocinquantamila pagine. Ha presente cosa sono settecentocinquantamila pagine? In pratica, per occuparmi di questo favoreggiamento, dovrei sapere tutto su tre stragi: quella alla questura di Milano, e poi piazza Fontana e piazza della Loggia. È un compito immane; mi spiace per Pecorella, che ha aiutato in tutti i modi questa Procura, ma io non sono attualmente in grado, con i mille altri impegni che mi assorbono, di condurre un interrogatorio serio». È la resa della giustizia davanti a una pila alta così di faldoni, avviati ormai su un binario morto.
Non solo. Paradossalmente, due dei tre coimputati di Pecorella, Lodovico Mangiarotti e Antonio Franchini, sono già stati processati e assolti a Brescia col rito abbreviato. Addirittura con sentenza definitiva della Cassazione del 2005. Vecchia ormai di quattro anni. Ma cè di più: anche per Zorzi la situazione si è capovolta: dopo la condanna allergastolo è arrivata lassoluzione in appello, confermata dalla Cassazione.
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