Dal Piccolo all’ex manicomio Giovani disabili recitano Brecht

Negli anni in cui il Piccolo non era soltanto un teatro, ma anche il tempio della religione civile dei milanesi, «L'opera da tre soldi» di Brecht era fra i riti che si celebravano più spesso. Giorgio Strehler, che la mise in scena decine di volte, nelle sue note di regia ne sottolineava «l'apparenza del divertente che si fa di continuo allarmante», «l'evasione piacevole che diventa spiacevolezza e aggressione diretta». La stessa oscillazione fra opposti registri emotivi, il medesimo capovolgimento tra lo spasso e l'amarezza, è presente nell’ «Opera del mendicante», il testo di John Gay da cui Brecht attinse a piene mani.
Rappresentata per la prima volta a Londra nel 1728, l'opera di Gay è una commedia satirica che prende di mira la corruzione diffusa nella società inglese dell'epoca. I protagonisti sono banditi, ricettatori e prostitute dei sobborghi più malfamati della capitale britannica che si trovano coinvolti nello scontro fra due capibanda, Peachum e Macheath, improvvisamente diventati l'uno il suocero dell'altro. In un crescendo di sotterfugi e tradimenti, Peachum riesce e far imprigionare Macheath e a farlo condannare all'impiccagione, finché un colpo di scena, provocato dalle parole di uno stralunato mendicante, sembra assicurare alla pièce un grottesco e solo apparente lieto fine.
Brecht rappresentò a Berlino «L'opera da tre soldi» due secoli esatti dopo la prima londinese dell’«Opera del mendicante», ammodernandone i personaggi, trasformandone il repertorio musicale, introducendo accorgimenti scenici che passeranno alla storia come «tecniche di straniamento». L'intento del drammaturgo tedesco era quello di scandalizzare il pubblico borghese, di farlo sentire affine, perlomeno nella spregiudicatezza e nella venalità, ai malfattori di Soho. Fin dagli anni Cinquanta Strehler elaborò una sua versione del capolavoro brechtiano allo stesso tempo più sperimentale e più spettacolare: l'accentuarsi dello straniamento venne compensato dalla recitazione impeccabile (e per certi versi tradizionale) di attrici e cantati del calibro di Giulia Lazzarini e Milva.
Martedì alle 21.45, presso l'ex ospedale psichiatrico Paolo Pini, nell'ambito della rassegna «Da vicino nessuno è normale», Serena Sinigaglia metterà in scena «L'opera del mendicante» di Gay con una compagnia di attori formatasi per l'occasione. Sul palco, oltre ai membri di Atir, il gruppo che da un decennio lavora con la Sinigaglia, ci saranno alcuni ragazzi diversamente abili che hanno partecipato al corso di teatro integrato che si tiene ogni anno, laddove l'aggettivo «integrato» sta a indicare che le persone con disagio psichico partecipano al corso insieme agli educatori e ai cittadini che si sono liberamente iscritti. Tramite l'integrazione e la pratica recitativa, il corso persegue delle finalità terapeutiche: i ragazzi possono cioè vivere un'intensa esperienza di relazione e comunicarla sul palcoscenico, migliorando concretamente la loro esistenza. Martedì quindi non si assisterà all'esibizione di un disagio, come invece avviene in altri spettacoli che coinvolgono persone diversamente abili, ma al tentativo di evocare il potere catartico connaturato alla rappresentazione teatrale.
«L'opera del mendicante» nella versione della Sinigaglia si preannuncia «divertente e allarmante», per usare la terminologia strehleriana, ma anche capace di generare simpatia per qualche malfattore con sfumature poetiche. Lo spettacolo è ambientato in un passato recente che assomiglia molto agli anni Ottanta: non a caso il decennio in cui la corruzione è stata quasi un fenomeno di massa. In quanto amaro apologo sulla corruttibilità degli individui, il testo di Gay, forse ancor più della rielaborazione di Brecht, non cessa di risultare sferzante.

Mentre la scelta della Sinigaglia di rappresentarlo all'ex Paolo Pini dimostra che il teatro civile oggi si fa soprattutto al di fuori dei templi.
«L'opera del mendicante»
Martedì 21 luglio, ore 21.45
Olinda, ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini
Via Ippocrate 45, Milano

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