«Da Piero proposta debole e velleitaria»

Roma«Deboluccia» e «velleitaria»: per Nicola Latorre, dalemiano doc e sostenitore di Pierluigi Bersani nella sfida congressuale, vicepresidente dei senatori Pd, la proposta lanciata da Piero Fassino per tentare la conquista del Veneto non funziona.
Eppure, senatore Latorre, il problema delle alleanze per le prossime Regionali ve lo dovrete porre eccome...
«Il tema delle alleanze è fondamentale per il Pd. Ma non si può porlo in modo così tattico e circoscritto. La questione, che sarà centrale al congresso, è come trarre insegnamento dall’esperienza di questi due anni, e dagli errori fatali che sono stati fatti».
Parla della scelta di andare da soli?
«Esatto. E su questo ci sono due linee molto diverse nel partito, visto che Dario Franceschini (di cui Fassino è sponsor) si ostina a riproporre come se nulla fosse la “vocazione maggioritaria” del Pd, e una scelta puramente tattica delle alleanze, funzionali solo ad assemblare voti. L’intesa con Di Pietro venne fatta così, e fu giustificata come propedeutica ad un ingresso dell’Idv nel Pd: si è visto come è andata».
Ma Fassino pone un problema reale, come può il Pd diventare competitivo al Nord?
«Io rispetto il ragionamento di Piero, di cui conosco il rigore. Lui fa notare che senza Galan il centrodestra è a rischio, e che è nostro dovere inserirci nelle contraddizioni del centrodestra in Veneto. Ma è un discorso che fa a cazzotti con la “vocazione maggioritaria” sostenuta dalla sua mozione congressuale. E trovo deboluccia e velleitaria l’idea di inseguire le situazioni in maniera differenziata, senza una strategia di alleanze precisa».
Al Nord però rischiate di restare «stranieri», come dice Fassino.
«La forza del Pd è necessariamente quella di essere un grande partito nazionale, in grado di parlare con i ceti produttivi del Nord ma anche di affrontare la questione meridionale, e di evitare rotture dell’unità nazionale. Un partito federale, certo, ma per carità non inseguiamo idee come il “Pd del Nord”: sarebbe catastrofico non sapersi dare un progetto politico nazionale».
Tornando alle alleanze, qual è la vostra controproposta?
«C’è un problema che riguarda una parte consistente del mondo moderato, che sta rompendo i ponti con questo centrodestra per incompatibilità con il ruolo dominante che sta assumendo la Lega e per contrarietà a molte delle scelte concrete del governo. E il Pd deve saper aprire un dialogo con questi ceti moderati, a cominciare dall’Udc, e proporre un’alleanza politica di lungo respiro sulla base di un progetto alternativo di governo. Un discorso che deve avere una prospettiva strategica, non limitata alla tattica elettorale per vincere qui o lì».
Non temete che l’Udc finisca per allearsi col Pdl per vincere?
«L’Udc ha coraggiosamente rotto con questo centrodestra, immagina come noi un assetto bipolare ma non bipartitico, sostiene che l’unità nazionale è messa in pericolo dalla Lega. Ci sono tutti i presupposti per tenere aperto il rapporto, se l’Udc sarà coerente».
E Di Pietro?
«Il problema è suo, non nostro. C’è una differenza di fondo tra noi e loro: noi siamo un’opposizione che aspira a diventare alternativa di governo, Idv è speculare al radicalismo di destra.

Se Berlusconi è Totò, Di Pietro è il suo Peppino: la spalla ideale, l’opposizione più utile ai fini del Cavaliere. Tonino decida se vuol continuare ad alzare i toni per rubare qualche voto a noi e garantirsi la pensione, o se vuol costruire una alternativa credibile a Berlusconi».

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