Roma - «Abbiamo voluto creare il mostro? E ora ne paghiamo le conseguenze». Il «mostro» evocato da un dirigente del Pd è Tonino Di Pietro, il dottor Frankenstein che l’ha creato è ovviamente Walter Veltroni, grazie a quell’alleanza elettorale che ora è finita in cima alla lista delle (tante) disgrazie del Partito democratico. A Roma come in Abruzzo, in Parlamento come in piazza.
Un incontro «chiarificatore» tra Pd e Italia dei Valori era annunciato per ieri, ma è stato smentito da ambo le parti. Veltroni se ne è andato a Trento, dove si voterà tra breve per il rinnovo della provincia: e si tratta dell’unico test elettorale su cui nel Pd, lì alleato con i centristi Udc, circola ottimismo.
Di Pietro invece impazzava a Roma, incontrando Casini (e dicendo per l’ennesima volta «no» all’idea di offrire una «rosa» di nomi per la Vigilanza) e lanciando ultimatum sull’Abruzzo: «Noi abbiamo il nostro candidato, se il Pd vuole si può accodare». Boccone amarissimo da ingoiare per Veltroni, anche perché un pezzo del partito (l’abruzzese Franco Marini in testa) non vuole neppure sentirne parlare: «Sarebbe una follia arrenderci a quello che ci vuole ammazzare: faremmo solo un regalo a Di Pietro, che a quel punto dimostrerebbe la sua egemonia. E la gente voterebbe la sua lista e non la nostra», spiegano in casa ex Ppi. Si cerca dunque freneticamente un candidato Pd spendibile, e disposto ad andare incontro ad una sconfitta quasi certa. Ma Veltroni, dicono i suoi, ancora insegue la speranza di convincere Di Pietro ad un’alleanza paritaria. L’unica arma di pressione è accusarlo di assumersi la responsabilità di regalare l’Abruzzo al centrodestra, ma l’ex pm non pare granché spaventato: per lui quell’appuntamento è l’occasione d’oro per contarsi e dimostrare di pesare quanto se non più del Pd. E i sondaggi lo confortano.
Dall’abbraccio mortale con la «creatura» frankensteiniana il Pd non riesce proprio a divincolarsi: la partita della Commissione di Vigilanza ne è un esempio lampante. Veltroni e i suoi, per ora, devono restare incollati, almeno formalmente, al candidato dipietrista Leoluca Orlando. Ma il no dell’opposizione a Gaetano Pecorella alla Consulta costringe ora il Pd a votare qualunque candidato il centrodestra decida di mettere in pista, e regala al Pdl un alibi a prova di bomba per continuare a negare il proprio avallo a Orlando. «Così diamo al Pd una mano per mollare Di Pietro», dicono i berlusconiani. Ma l’incubo dei veltroniani è che la maggioranza gli giochi in casa, e finisca per votare un uomo del Pd. Facendo brindare di gioia Di Pietro, che si incoronerebbe a martire del torbido «inciucio».
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