Francesca Amé
Il Cenacolo in viola, gli oli di Leonardo trasformati in colori industriali grazie alla stampa in offset, l'immagine ripetuta, anzi copiata. Questa «dissacrazione» la eseguì Andy Warhol quando il gallerista Alexandre Jolas gli commissionò una serie di opere ispirate all'«Ultima Cena». Warhol, che era ormai l'icona di se stesso e produceva a spron battuto ritratti di Marilyn, scatole di minestra, bottiglie di Coca-Cola e film con il marchio Factory, si mise al lavoro. Al suo tavolo, una riproduzione fotografica dell'opera leonardesca che venne elaborata sino al risultato finale: un Cenacolo doppio, non più capolavoro unico nella storia dell'arte occidentale ma immagine ripetibile, banale come molte altre. Nel 1987 l'opera venne esposta per volere di Jolas alle Stelline, dirimpetto al refettorio di Santa Maria delle Grazie dove tuttora risiede - meglio conservato di allora - il capolavoro leonardesco: quell'«Ultima Cena» fu anche l'ultima mostra di Warhol, che in quell'anno morì. Da venerdì la rielaborazione fotografica dell'artista americano torna, con la sua sconcertante modernità, dove fu messa in mostra allora: la Fondazione Stelline nella sala del Collezionista ricorda infatti l'esibizione di un tempo con un omaggio dal titolo «Leonardo da Vinci, il Cenacolo ed altro» (sino al 20 dicembre, ingresso libero). Il cantore della Pop Art fu ammaliato dal genio del Rinascimento a tal punto da volerne trasformare l'arte in una sorta di manifesto pubblicitario: ma non è Warhol il solo attore protagonista della mostra milanese curata da Martina Corgnati. C'è anche, originale come al solito, il gruppo Cracking Art che a Leonardo da Vinci ha dedicato sette opere inedite. Omar Ronda, William Sweetlove, Renzo Nucara, Marco Veronese, Alex Angi, Carlo Rizzetti e Kicco sono i membri di un gruppo artistico che ha mosso i suoi primi passi a Biella (città che ha dato i natali a molti di loro tra cui Ronda, il fondatore) e che si è fatto conoscere e apprezzare nel resto d'Italia e all'estero.
I «crackers» sono di casa a Milano perché è qui che nel '93, in una mostra curata da Tommaso Trini, hanno per la prima volta esposto in pubblico. Martina Corgnati ne traccia la poetica nella monografia a loro dedicata edita ora da Mazzotta («Cracking Art. Nascita di un'avanguardia»): in copertina ci sono i sette artisti che, con camicia hawaiana sgargiante, tengono in mano animaletti di plastica. La poetica del gruppo è racchiusa in questa immagine volutamente ironica. Dunque, dicono i «crackers», anche il materiale all'apparenza più artificiale come la plastica ha un'origine naturale, «buona».
Dalla plastica riciclata nascono allora pinguini che osservano una grande luna azzurra, montoni d'oro messi a «pascolare» nel prato del Chiostro delle Stelline e animali in via d'estinzione: queste sculture, alcune delle quali opere collettive del gruppo, dialogano con l'Ultima Cena di Warhol e paiono chiedersi se l'artificio della vita contemporanea (la plastica, la fotografia) potrà mai aiutare la natura (e l'arte) ad apparire ancora più preziosa.
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