Nichi stai zitto. Firmato Pisapia. Il comizio di Vendola ieri in piazza del Duomo è stato troppo. Troppo tutto. Troppo di sinistra, troppo vendoliano, troppo revanscista. Troppo sincero? Forse sì. Se ne sono accorti tutti, immediatamente, persino uno sbigottito Enrico Mentana che in diretta si è posto un interrogativo: "Ma se il leader del Sel avesse fatto questo comizio prima del voto Pisapia avrebbe vinto lo stesso?". E oggi se ne è accorto anche lui, il neo sindaco di Milano. Poche righe, una frase buttata lì con leggerezza ma che pesa come un macigno: "A Nichi Vendola voglio bene. Ma quando va in una città che non conosce dovrebbe ascoltare più che parlare". Che è un po' come dire: sono mesi che cerco di togliermi di dosso la patina dell'estremista e poi arrivi tu e mi rovini tutto. Ventiquattro ore dopo la scorpacciata di strette di mano e pacche sulle spalle a sinistra hanno già iniziato a bastonarsi.
La corsa da Bari a Milano per attaccare il cappello sulla vittoria milanese concionando dal palco di Pisapia: "E ora tocca a palazzo Chigi". Vendola, agitato e scalmanato, ha gettato la maschera e ha spiegato ai cittadini come sarà la Milano dei prossimi cinque anni: tutto quello che Pisapia aveva cercato di nascondere sotto il tappeto. Dall'"Italia migliore" - che è ovviamente quella che lo vota -, ai fratelli rom e mussulmani da abbracciare davanti agli elettori del centrodestra, da Borghezio che non può andare in tv alla Gelmini che non può fare il ministro. C'è tutto il repertorio del vendolianesimo: dagli abbracci, alla multietnicità, dagli attacchi al maschilismo alla difesa di nomadi e immigrati.
Un eden di buoni sentimenti a cui fa da contrappeso la rabbia con cui viene, con abbondanza di aggettivi e avverbi, descritta l'Italia delle tenebre, quella dei berlusconiani ovviamente. Nel partito dei pacifisti è già scoppiata la guerra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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