La pittura nata dalla terra di Salvatore Incorpora

Il grande artista riesce a trasformare visioni del quotidiano in opere potenti, evocative e mitiche

La pittura nata dalla terra di Salvatore Incorpora

Non si vada a Linguaglossa, ai piedi dell'Etna, solo per inseguire il fantasma di Francesco Messina, che qui è nato ma da qui è partito per altri lidi molto presto senza mai farvi più ritorno, ma anche e soprattutto per conoscere l'arte di Salvatore Incorpora, che rende Linguaglossa una piccola capitale dell'arte del secolo scorso. Il Novecento è un periodo complesso, attraversato da ordine e disordine, da una volontà eversiva entro cui può configurarsi Incorpora, ma anche dal tentativo di ritrovare principi altrimenti dimenticati, ossia perpetuare la grande tradizione classica, antica e moderna, greca e rinascimentale, come ha fatto Francesco Messina che è uno tra i più grandi scultori del Novecento. Incorpora e Messina rappresentano due facce dell'arte di un secolo e seppur in maniera diversa, entrambi ne hanno fornito autorevoli e opposte visioni. Colui che è stato considerato la gloria più nota di Linguaglossa, nelle sue opere ha avuto la capacità di far sentire la verità della carne, dei corpi, con un'attenzione spasmodica verso la bellezza femminile.

Ma non è a lui che ci si deve limitare pensando a Linguaglossa: Incorpora sembra essere e incarnare il verbo «incorporare», dialogando con il tempo e con lo spazio che lo circondano. Egli tiene dentro di sé l'essenza della Sicilia con la capacità di far sentire il calore della terra che ha eletto a patria. Difatti, benché sia di origine calabrese, Incorpora appartiene a Linguaglossa persino più dello stesso Messina. Perché questa è stata la sua città d'elezione e qui ha scelto di vivere, così come Francesco Messina ha deciso di andarsene. Salvatore Incorpora arriva da Gioiosa Ionica, dov'è nato il primo gennaio del 1920. Da lì può anche intravedere il fumo dell'Etna, e perciò sente da lontano il suo destino. L'uomo, nell'arco della sua vita, è stato soldato e prigioniero durante la Seconda guerra mondiale. Ha vissuto tempi difficili, in una Italia e una Sicilia ancora remote, legate a un mondo più vicino al tempo mitologico e antico che al presente. Per questo motivo, Incorpora ha sentito potente il mito e ha vissuto in una dimensione in cui la campagna e il mondo contadino, i valori dell'unica civiltà possibile, cioè quella agricola vicina alla Magna Grecia, erano ancora fondamentali. Un tempo lento e immobile che finirà presto, per poi accelerare in maniera potentissima nel secondo dopoguerra. L'attenzione alle azioni dell'uomo, nel lavoro e nel passaggio dal mondo rurale al mondo industriale, è molto esplicita in Incorpora. Perché egli non si esprime per generi isolati (la natura morta, il paesaggio, il colore locale, la pittura civile ecc.), bensì conduce la sua battaglia per l'uomo attraverso l'autenticità della propria natura.

Da questa premessa derivano opere giovanili quali il Barcone tirato in secca del 1946 o il Banditore d'acqua dell'anno successivo, due potenti immagini scultoree che provengono da un modellato ottocentesco che Incorpora filtra attraverso la lezione della madre, Gemma Murizzi, anch'essa artista e superba figurinista. Analoghe condizioni si rintracciano nei più maturi quadri quali Bottari di Sicilia, una tela custodita alla Galleria d'Arte Moderna di Roma e realizzata nel 1956, Fuga dalla lava del 1971 o «Zappini» trainati da buoi, opere, queste, così come molte altre, che richiamano la fatica del mondo contadino e la sua pietas, umana, sociale e cristiana. Non c'è bisogno di seguire una rappresentazione ispirata dalla cronaca, per Incorpora è cronaca il quotidiano esistere ai piedi dell'Etna, come esprimono i tanti soggetti che raffigurano lavori usuranti ma necessari alla sopravvivenza. Esempi sono La raccolta delle olive del 1972 o la tarda ma vivace tela Al mercato del 1993. Le lotte per la liberazione dell'uomo e per la sua uguaglianza sociale sono infatti già comprese nella descrizione di una natura che porta con sé la sua maledizione: la coltivazione della terra, la dannazione della cacciata dei progenitori dal paradiso terrestre. La Sicilia come paradiso terrestre, dunque, un'idea però che infligge all'uomo la fatica del lavoro e l'ardua conquista dei diritti che non gli vengono riconosciuti. Di tale dimensione adamitica, originaria, queste opere sono chiara testimonianza. Lo stesso vale per il bellissimo e poetico Triciclo della posta databile intorno al 1960. La luce che emana dalla tela il cui protagonista è il triciclo, in assenza del postino, racconta una povera condizione.

Il mondo contadino è dominante nelle opere di Incorpora, anche in quelle che dipinge ricordando la sua terra natia, la Calabria. In particolare si sofferma sulla figura femminile, come si vede nelle tante varianti di Donna calabra, raffigurate spesso con la cesta in testa. La donna, per quanto posta in una dimensione subalterna rispetto a quella dell'uomo, rimanda a un mondo pieno di orgoglio. Ma Incorpora la dipinge anche rendendola ai suoi occhi attraente, stimolante e maliziosa, come nel Nudo «scorpionato» databile al 1975, custodito a Giarre in una collezione privata, dove accarezza un gatto, e nelle due versioni di Figura femminile su una poltrona, una del 1971 e l'altra del 1988 appartenente alla collezione di Ernesto Falcidia a Catania. Siamo qui in una dimensione quasi pop, che egli sfiora.

I soggetti maschili, invece, sono legati alla povertà, alla fatica e alla miseria, condizioni che Incorpora riassume nella figura dell'emigrante, dipinto e plasmato in molteplici versioni suggestive e coinvolgenti. Tra tutti si veda il Ritorno d'emigrante del 1972 dove si trova l'indicazione simbolica e letteraria di quel mondo che l'artista raccoglie dal vero e che in realtà ha un precedente in un calco linguistico che rende unica la letteratura di Giovanni Verga, il grande scrittore a cui sembra che Incorpora abbia guardato con persistenza narrativa.

L'attenzione al mondo verghiano è singolare perché testimonia che Incorpora, da calabrese divenuto siciliano, riscopre le radici di un popolo in una lingua che non è un dialetto, bensì un'identità autentica. Sono le parole di quei pescatori e di quei contadini, di quella miseria che, da lingua scritta, si fa linguaggio dipinto, s'incarna in pittura: una dichiarazione di poetica molto precisa. Tanto più che la potenza espressa da questi uomini e da queste donne riguarda il carattere e i principi morali, in una Italia prevalentemente analfabetica, che solo nel dopoguerra diventerà alfabetizzata e televisiva. Incorpora poi applica il soggetto anche al tema storico della cronaca di quel tempo, ormai diventata storia. Un esempio eloquente sono I moti di Reggio Calabria, una tela del 1971, in cui raffigura un episodio accaduto durante quella che, dopo il '68, fu una piccola rivoluzione di una città insoddisfatta della propria amministrazione. Si vedono figure bendate simili a banditi che cospirano, con un espressionismo che torna spesso nel motivo dominante dell'estetica di Incorpora: le mani. Sono mani che si muovono, si allungano o si agitano e si deformano ingrandendosi.

Interessante è anche il rapporto di Salvatore Incorpora con l'arte sacra e i soggetti religiosi. L'artista si applica, per esempio, a sculture di gusto neoliberty nelle chiese con le diverse redazioni della Via Crucis, tra tutte la più potente e travolgente è quella della chiesa di Maria Santissima del Rosario a Fiumefreddo di Sicilia. In queste opere e nei fonti battesimali dimostra un monumentalismo insolito per la scultura religiosa di quel tempo, soprattutto se pensiamo al portale d'ingresso della chiesa di San Francesco di Paola a Linguaglossa. Sono gli anni Ottanta e il rapporto con la committenza religiosa ha un suo significato di durata e di continuità con un mondo che non c'è più, e Incorpora sembra essere uno degli ultimi testimoni. Sul fronte dell'arte sacra l'artista, inoltre, realizza una serie di dipinti e di bassorilievi di grande interesse che riguardano Cristo. Si prenda il Cristo dei tralicci del 1977, dove l'iconografia del corpo tormentato e straziato del Cristo si lega all'idea del traliccio come una sovrapposizione fra il più alto simbolo religioso e le vicende tragiche che investono gli uomini nei luoghi di conflitto.

La sua è una poetica esplicitamente dichiarata di natura socialista e cristiana insieme. Questa ispirazione si estende anche agli altri temi ricorrenti nella sua pittura, come per esempio gli emigranti, che Incorpora sente come vittime della storia. In tutte queste opere si fa strada un motivo ricorrente che caratterizza, come già accennato, la pittura e il disegno di Incorpora: le mani e i grandi piedi. Mani straziate e disarticolate, con i tendini strappati e quindi allungate in una deformazione che è espressiva ed espressionistica insieme. Tolte le avanguardie, la pittura nel Novecento è stata grande, per l'Italia, soprattutto grazie alla Sicilia. E si pensi a Guttuso, a Trombadori e, in tempi recenti, a Piero Guccione e alla scuola di Scicli, come anche in letteratura ai grandi scrittori: da Tomasi di Lampedusa a Brancati, da Pirandello a Verga e via di questo passo.

Qualora volessimo insomma, dopo Manzoni, immaginare il luogo dove l'Italia si è espressa senza separatismi e senza autonomie, in una coscienza nazionale fortificata, potremmo pensare proprio alla grande letteratura e alla grande pittura di fine Ottocento e del Novecento siciliano. Incorpora con la sua vasta produzione è quindi un'addizione importante alla conoscenza dell'arte italiana, all'importanza e alla definizione della storia dell'arte italiana.

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