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Platea decimata dal mal di pancia. "Ma se non ti allinei dai fastidio"

La maggioranza dei delegati se ne resta a casa. I presenti, tra fischi e mugugni eseguono l’ordine della nomenklatura. Così i leader si tengono le loro poltrone

Platea decimata dal mal di pancia. "Ma se non ti allinei dai fastidio"

Roma Bisogna salvare capra e cavoli, e deliziosamente Anna Finocchiaro lo fa subito notare senza troppi fronzoli ai 1229 delegati della Nuova fiera di Roma. O si fa ’sto segretario o si va alle primarie, «ma la scelta non potrà non considerare che migliaia di comuni tra un po’ andranno a votare e che il nostro partito deve essere in piedi per combattere... Siamo dirigenti politici, non un gregge che si disperde alla prima sassata».
Tornare a casa non si può, non fa piacere a nessuno dei presenti. D’altronde mai s’è visto un tacchino votare per l’anticipo del Natale. Va a vuoto l’accenno di contestazione di qualche pasdaràn delle primarie, che interrompe l’intervento di Realacci. Ma altro che battaglia e «assemblea ingovernabile», come volevano alcuni osservatori ben imbeccati di veline pidì. Implacabile D’Alema: «Gli osservatori osservano, osservano ma poi non capiscono niente». Non è giornata per l’ex leader Massimo, la cui lenta strategia per dare un’identità diversa al partito è stata bruciata dalla mossa di Walter. E con essa la candidatura Bersani, che ora rischia di sfumare pure a ottobre.
Così l’assemblea si fa subito gregge obbediente: vota alla bulgara, per alzata di mano - 84 per cento contro il 16 - per l’elezione immediata. Il tam-tam organizzato da Veltroni, Fassino e post-dc («No primarie, Franceschini subito»), che ha raggiunto telefonicamente ogni punto dello Stivale, funziona a meraviglia. Franco Marini neppure si gira per controllare le votazioni dei ribelli, è sicuro di sé e scherza: «Saranno circa il dieci per cento, lo vedo con le spalle».
In men che non si dica si passerà anche al voto per l’ultimo allievo di Benigno Zaccagnini, e i consensi addirittura lievitano (da 1006 a 1047). Ecco la nuova foglia di fico degli ex-post-comunisti: il rispettabile e (apparentemente) mite Dario Franceschini, classe 1958, papà nella Resistenza. L’entusiasmo lo porterà ad autosmascherare l’ultima farsa escogitata dal partito resistenziale (inteso come attaccamento alla poltrona): «Walter è l’unico che aveva capito, serve una scossa, e il suo è stato un atto d’amore...». Agli scacchi si definisce «arrocco», il re scambia il posto con la torre e si salva. A salvarsi in questo caso è la nomenklatura del «tutto cambi perché nulla cambi», cadono come cavalli zoppi gli attaccanti: D’Alema, Bersani, Rutelli. Ovviamente, non senza aver fatto «voto di Franceschinità».
Vince il centro doroteo del partito, che Dario interpreta alla perfezione anche nel commiato ai delegati: «Siamo entrati in un modo, siamo usciti in un altro. È già tornata la voglia!». Sì, davvero un miracolo che si compie in sei ore scarse. E che lascia ancora una volta a bocca asciutta chi voleva il cambiamento e, per paura, o non è venuto per niente (la maggioranza dei 2800 delegati eletti alle primarie), o è venuto per accettare il diktat del potere centrale. A guardarli tra le file dei giovani, i problemi del partito sono evidenti. La pantomima del Nuova Fiera lascerà tutto uguale, e a loro non resta che dichiararsi tutti «fiduciosi». «Non si può andare avanti per tentativi», esordisce bene la barese Rosa Melodia, ex Margherita, secondo la quale «è chiaro che Franceschini non potrà fare miracoli, però ormai è meglio che provi a mantenere quanto ha dichiarato. Questo è un partito nel quale si fa fatica a emergere, specie se hai talento. Il ricambio generazionale è solo sulla carta: non si guarda al sapere o alla capacità, se non ti allinei dai fastidio e ti mettono subito ai margini». Altro avvocato, casertano, anche lui ex Margherita: Giancarlo L’Arco vede da sempre «piombare dall’alto candidature e cooptazioni, c’è uno scollamento drammatico tra il vertice e il territorio. Un partito si allarga se parti dalla base, non dall’alto». Lara Lanni e Luana Evangelista, giovanissime provenienti dai Ds, notano la mancanza di «identità e piattaforma politica». Ma ciò che le fa davvero soffrire è l’«incapacità a rappresentare le forze nuove e i giovani, tutto avviene per cooptazione dall’alto». Problema avvertito anche in Emilia: Francesco Ori e Cristian Mattioli Bertacchini vedono difetti di «coerenza» nella passata gestione e attendono il ferrarese Franceschini al varco. La modenese Annalisa Bellei ha sofferto soprattutto per la mancanza di laicità del partito, «ma da soli non si portano a casa risultati, meglio mediare ed essere coesi». Essere né carne né pesce non fa paura alla bolognese Luisa, che preferisce l’anonimato. Espressione schietta dell’anima incerta di questo partito, sa già condire l’aria fritta con la melassa: «La diversità è ricchezza, da oggi si avvia una fase di discussione che porterà all’amalgama...».
Allo stesso modo pensano e parlano i dirigenti di prima fila (almeno giustificati da età e status). Il nuovo segretario ripete le parole d’ordine della continuità veltroniana e gli occhi della nomenklatura esprimono la rassegnata inutilità del rito. «Partito solido, partito liquido...». «Basta che non sia spray», replica un delegato. «Io non tratterò, chi di voi mi applaude non venga poi a farmi pressioni...». «Io infatti non le batto», si diverte Marini. D’Alema sfoga il malumore sui giornalisti. A quello del Giornale, confida che metterebbe tutti «in una piccola saletta attigua perché biasimo questo suk» e ironico dice di seguirne «con attenzione le espressioni per scriverle domani nel mio articolo...». Con infinita modestia, ci permettiamo di suggerire il titolo dell’elaborato: «Walter se n’è ghiuto e soli ci ha lasciato!».

Sarebbe un successone, a patto che non si firmi Roderigo di Castiglia, come fece Togliatti.

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