Milano - Filippo Penati, l’ormai ex uomo forte del Pd in Lombardia, il braccio destro del segretario Pier Luigi Bersani e oggi indagato per corruzione e concussione, è stato nominato nella commissione d’inchiesta del Consiglio regionale sul sistema di accreditamento dell’ospedale San Raffaele. Capito bene, un consigliere indagato per corruzione e concussione, invece di dedicarsi a dimostrare in tribunale la propria estraneità ad accuse infamanti e magari dimettersi visto che si tratta di reati contro il pubblico patrimonio, finisce - senza che a sinistra ci sia nessuno scandalo - in una commissione chiamata a far luce su una faccenda complicatissima. Che intreccia politica e affari in quello che comunque resta un gioiello della sanità, creato dal nulla da don Luigi Verzè. Prima convocazione lunedì con insediamento ed esame degli accreditamenti concessi dalla Regione alla Fondazione Centro San Raffaele del Monte Tabor e relativi finanziamenti e contributi, nonché i controlli e la vigilanza effettuati e l’appropriatezza delle prestazioni erogate dalla Fondazione stessa.
Roba da non credere. Poi dicono e si chiedono perché gli italiani si allontanino dalle istituzioni. E l’homo politicus diventi la specie più odiata tra chi per arrivare a fine mese e mantenere moglie e figli è costretto ad andare a lavorare. Loro, invece, cadono sempre in piedi. E a fine mese continuano ad andare tranquillamente a incassare i loro euro. Che nella fattispecie, trattandosi del pingue stipendio da consigliere regionale, sono più di 10mila. Ovviamente netti. E poco importa se da mesi Penati sia inseguito dalle accuse di corruzione e concussione per l’edificazione dell’ex area Falck di Sesto san Giovanni, l’ex Stalingrado d’Italia di cui al tempo era sindaco. Poco importa se il sospetto è che Penati sia l’artefice di un sofisticassimo sistema di «ingegneria della mazzetta» con cui secondo le accuse dei pm insieme alla «banda dei sestesi» avrebbe rifornito le sue casse. Ma forse anche quelle del partito. Fa nulla se da presidente della Provincia di Milano comprò a prezzi pazzeschi le azioni dell’autostrada Serravalle dall’imprenditore Marcellino Gavio che poi ricompensò il partito mettendo a disposizione parte della plusvalenza (50 milioni di euro) per la «sinistra» scalata di Unipol a Bnl. Perché fu proprio Penati a essere promosso capo della segreteria di Bersani, dopo aver organizzato la sua campagna vincente alle primarie del Pd. Con quali fondi, stanno cercando di accertarlo i magistrati Walter Mapelli e Franca Macchia.
Per ora ci sono le accuse messe a verbale dagli imprenditori monzesi che da Penati raccontano di essere stati taglieggiati. E soprattutto c’è il crollo della presunta superiorità morale della sinistra, sempre pronta a strillare per le nefandezze altrui, senza mai occuparsi delle proprie. Perché a partire dal coinvolgimento degli assessori della giunta Vendola negli scandali per la sanità pugliese e risalendo lo stivale fino alla Lombardia presidiata da Penati, la situazione a sinistra sembra ben poco raccomandabile. E perché a Penati nessuno ha chiesto di dimettersi da consigliere, facendo magari a meno dello stipendio. Solo un’ovvia rinuncia al ruolo di vicepresidente e le dimissioni dal gruppo del Pd. Per passare però al gruppo misto, di cui Penati è capo. Anche perché unico componente. Scelta solo apparentemente nobile perché, beffa nella beffa, comporta un ulteriore aggravio per le tasche del contribuente, quantificabile in 215mila euro. Visto che il gruppo, come tutti gli altri, ha diritto a un proprio budget per le spese di funzionamento, rappresentanza e pubbliche relazioni. Solo queste, le spese di rappresentanza di Penati capo e unico componente del gruppo misto, ci costano 26mila euro. All’anno, ovviamente. A cui vanno aggiunti i 143mila per i dirigenti e i 46mila per il personale. Il tutto da aggiungere ai 10mila euro di stipendio al mese. Poi ci saranno buonuscita e vitalizio, per potersi godere una vecchiaia serena. Ammesso che a sinistra non decidano di ricandidarlo e regalargli magari altri cinque anni di stipendi d’oro.
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