Il pm Garzon alla sbarra E il governo di Zapatero ora grida alla dittatura

Il giudice Baltasar Garzon ha comunque vinto, prima ancora del giudizio del tribunale supremo di Madrid. Rischia 20 anni di sospensione dalla magistratura per la sua inchiesta sul franchismo, e per corruzione, ma comunque vada, ha ottenuto quello che voleva: alzare polvere. Lui che sognava una nuova Argentina, un altro Cile, con i colpevoli della dittatura processati, con la rabbia della gente, le prime pagine dei giornali. Lo stesso clima, Garzon lo sognava nella sua Spagna, «contro le impunità del franchismo», nel 2008 era partita l’inchiesta sulle decine di migliaia di scomparsi durante la dittatura, lui voleva scovare i colpevoli e presentare il conto. La procura lo aveva bloccato, opponendogli la legge sull’amnistia. Una legge fondamentale per il Paese, votata nel 1977 dopo la fine della dittatura dal parlamento spagnolo. Con quel patto la Spagna era riuscita a fare pace con la storia, anche da questo era dipeso il futuro del Paese: lasciarsi alle spalle una guerra civile dove i confini non esistono, e il nemico è il vicino di casa, un fratello, lo zio.
Per 35 anni la Spagna è riuscita a rimanere in pace. Gli storici hanno lavorato; ci sono circa ventimila libri per non dimenticare, per raccontare, regione per regione la storia di ogni vittima. Mai nessun silenzio, nessun tabù. Ma a Garzon questo non bastava. Ha chiesto i certificati di morte di Franco, dei suoi generali. Il governo di Zapatero ha cavalcato l’onda. Ha parlato di «abbattere tabù». Oggi è tornato l’odio, lo scontro tra socialisti al governo e popolari all’opposizione è sempre più duro, volano insulti, frasi pesanti e offensive tra i politici. Il segretario del partito popolare, Maria Dolores de Cospendal attacca: «L’atteggiamento di esponenti del Psoe sta mettendo a rischio la democrazia». Il ministro delle Infrastrutture Blanco contrattacca: «Date spago ai franchisti». Il processo da giudiziario diventa politico. Il giudice diventa un simbolo, intoccabile, da preservare. Come succede in Italia, volano accuse pesanti, è un attimo e parte l’insulto «fascista». Si torna sempre lì, impantanati nel passato e non solo, ogni critica è un attacco alla magistratura, si grida al golpe, allo spettro della dittatura. È lo strapotere dei giudici che non possono essere messi in discussione. Sabato migliaia di persone si sono date appuntamento nelle piazze, a Madrid, a Barcellona, per manifestare a favore di Garzon, del loro mito. Con lui c’erano intellettuali di sinistra, personaggi come Almodovar, politici, gente comune, tutti a chiedere «più giudici come Garzon».
In Spagna è solo l’inizio di una lotta pericolosissima. Mettere in dubbio il tribunale supremo, le istituzioni, è un gioco che mette paura a molti. Carrillo è uno dei padri che nel 1977 votò per la legge sull’amnistia e oggi mette in guardia: «L’iniziativa di Garzon è un errore, lasciamo in pace quel patto, le vittime ci sono dappertutto, qui si rischia di fare un danno enorme». La Spagna non può permettersi in questo momento di accendere una miccia con così alta carica esplosiva. Rischia di saltare il sistema democratico. Eppure Zapatero tace. Non interviene, aspetta, sfrutta la corrente, si gode lo spettacolo, vede le pagine dei giornali occuparsi di Garzon, e non più solo di disoccupazione, povertà, stallo. Tra pochi mesi ci saranno le elezioni, vota la Catalogna, i sondaggi danno il Psoe perdente. Sollevare ora una causa che provochi una reazione forte della gente era quello che serviva a Zapatero e ai suoi. Il suo governo accusa il partito popolare di essere una banda di franchisti. Aveva fatto lo stesso con l’aborto, i diritti agli omosessuali, e così, mentre la Spagna annegava nella crisi economica, gli spagnoli erano occupati a chiedersi quali diritti dovessero avere i gay. Lo chiamano il Di Pietro italiano. Nel 1993 Garzon aveva tentato il salto in politica, si era candidato con i socialisti di Gonzalez, sognava di diventare ministro dell’Interno.

Quando glielo hanno negato ha lasciato tutto e ha aperto un fascicolo contro i suoi stessi compagni. Ora è di nuovo amico dei socialisti, una porta aperta fa comodo. Rischia 20 anni per prevaricazione, per aver oltrepassato i propri poteri. Ma non solo, ha riacceso un odio antico di 35 anni.

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