Un po’ di cuore e cervello altrimenti il patrimonio della Treccani affonda

I consigli di un «ex» per evitare una fine ingloriosa e salvare il mito dell’Enciclopedia italiana

Circa dieci anni fa mi fu chiusa la porta dell’Enciclopedia italiana in modo gentile, anzi, tacito. Il bilancio dell’azienda era in forse: come valutare, ad esempio, i diritti d’autore acquistati su una quantità di scritti che non si sapeva se sarebbero usciti? Il rappresentante di uno degli azionisti (banche, più il Poligrafico dello Stato) disse che il disastro era alle porte, che la dirigenza era paternalistica e si occupava di cose che non la riguardavano (del restauro conservativo della sede, per esempio?): Vincenzo Cappelletti, che univa cultura ed eccellente senso amministrativo, dopo aver resistito a lungo fu estromesso.
L’Enciclopedia si era retta a lungo grazie alla vendita dei suoi 36 volumi-capolavoro, più 5 appendici di aggiornamento, ma ora le occorreva nuovo materiale. Lo trovò, alla meglio. La scienza era pronta a offrirglielo, ma come tenere il suo passo? Il difetto di un’enciclopedia è che si conclude dopo un lungo periodo di esecuzione, durante il quale le notizie cambiano.
Qualcuno sperò di impadronirsi della Treccani per rivitalizzarla, anche nel centrodestra, ma lo statuto era congegnato in modo che nessuno potesse divenirne il padrone. Non ci riuscirono neppure i comunisti, ed è tutto detto. Poi lo statuto fu modificato, ma una «scalata» rimane difficile, più che per qualsiasi banca.
Che fare? Chiudere tutto in un passato glorioso? Vorrebbe dire lasciare a metà, anzi a un terzo, una pubblicazione indispensabile in una nazione civile: il Dizionario biografico degli italiani (È ancora lontano dalla M, ma, per ogni evenienza, misi le mani avanti: «Avvertitemi quando devo morire: non vorrei perdere il turno»). Per ora i sottoscrittori non coprono i costi; ed è uno dei rari casi in cui un po’ di denaro pubblico andrebbe speso in favore della cultura. L’Istituto, insomma, non poteva chiudere ma, per ora, le recenti iniziative non sono all’altezza delle antiche.
Un tema degno dell’Enciclopedia italiana sarebbe: «Artisti e letterati stranieri a Roma dal Cinquecento a oggi». Dovrebbe ricordare ciò che Roma ha dato a tanti stranieri colti, e loro a Roma. I grandi nomi non mancano (si pensi a Leibniz, a Goethe, ma anche a Thomas Mann): però i più interessanti sarebbero gli innumerevoli piccoli, non facili, da rintracciare, anche con l’aiuto degli istituti culturali della loro nazione.
C’è però un’altra proposta, che una volta misi anche per iscritto e che non sottoposi alla Treccani soltanto. Me la suggerì il compito che avevo in quella sede; organizzare un’«enciclopedia multimediale della storia della filosofia», in collaborazione con la Rai e con l’Istituto di studi filosofici di Gherardo Motta. Ne venne una serie di cassette, in cui abbiamo interviste con grandi filosofi scomparsi, come H.G. Gadamer; e l’interesse si comunicò anche ai non specialisti. Ma c’è una disciplina molto più adatta della filosofia a una trattazione multimediale: la musica. Percepiti insieme, il suono degli strumenti, la voce dell’insegnante, le note sul pentagramma e i grafici geometrici sarebbero una fonte d’istruzione musicale incomparabile, atta a rimediare a una ignoranza di teoria musicale che non fa onore all’Italia.
Anche per un altro aspetto un’opera del genere si distinguerebbe da un’enciclopedia in ordine alfabetico: la sistematicità. Si potrà, per esempio, mettere in vendita una cassetta di acustica musicale, quand’anche non dovessero seguirne altre. Quindi si comincerà a incassare in corso d’opera, senza la diffidenza che suscitano opere che non si sa se finiranno, e quando. Gli stessi argomenti potrebbero esser trattati in cassette diverse a diversi livelli di approfondimento: per le scuole elementari e medie, in conservatori, gli amateur, i professionisti.
L’Italia è la seconda nazione al mondo per tradizioni musicali e ha un numero di specialisti sufficiente a condurre in porto l’opera. Eppure nessuno di coloro a cui l’ho proposta è passato all’azione. Qualcuno l’ha lodata, qualcun altro non l’ha capita, dicendo che aveva già in cantiere un progetto del genere: poi scoprii che era una raccolta di cattive esecuzioni di opere notissime.

Non si tratta di ascoltare il bello in musica: si tratta di analizzarlo, di scoprirne le leggi grammaticali e sintattiche, di abituarsi a corriferire sensazioni uditive e rapporti aritmetici, che l’anima coglie (diceva Leibniz) senza rendersi conto di contare. Forse - lo spero - qualcuno dei miei nipoti disporrà di questa via per accostarsi alla musica.

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