Cultura e Spettacoli

La poesia non è (più) un campo di battaglia da bombardare

C aro Davide Brullo, mi sono sentito subito coinvolto dalla polemica che hai voluto ingaggiare con Adriano Napoli e con il suo bel libro di saggi (Le api dell’invisibile) uscito in questi giorni per Medusa, e non tanto perché sia uno dei poeti cui Napoli ha voluto dedicare la sua riflessione sulla poesia italiana degli ultimi quarant’anni, quanto perché entrambi, tu e Adriano, siete due dei poeti che mi è capitato di scegliere - e non certo per caso - in quell’antologia di poeti giovani uscita giusto un anno fa per Interlinea (Il miele del silenzio); entrambi, dunque, cari per la qualità del vostro lavoro poetico. Tu sai perché avevo voluto scrivere quell’antologia: per creare un luogo di incontro fra poeti di natura e di formazione diversa; per superare, insomma, gli steccati ideologici e caratteriali che hanno avvelenato la cultura poetica proprio degli ultimi decenni. Un incontro fondato non solo sulla forza del dialogo e dell’humanitas, ma anche dell’attenzione, del rispetto reciproco. Mi ha dunque colpito infelicemente l’articolo che hai dedicato alle Api di Adriano, intanto perché non hai dato conto del libro, né della sua struttura, nemmeno dei nomi dei poeti di cui parlava (una scelta, fra l'altro, ben ragionata, se leggi la documentatissima e argomentatissima introduzione): non hai insomma dato al lettore la possibilità di comprendere le tue eventuali ragioni, sottraendo il libro al pubblico e sostituendolo con le tue privatissime ossessioni. Eppure, se il libro di Adriano Napoli ha un pregio indiscutibile, è proprio quello di essere un libro nato dal pensiero, dalla severità degli studi, dall’onestà di chi non offre mercanzie truccate ma un lavoro articolato e profondo, discutibile certo, ma sulla base di argomentazioni altrettanto fondate, non di invettive o di allusioni condite di sarcasmo. Apprezzo, lo sai, il tuo anarchismo e il tuo spirito combattivo, se non altro perché trovo in te un eguale, essendo anch’io da sempre un anarchico pronto ad accendersi con facilità alla disputa, ma un anarchico che cerca con tutte le proprie forze (o, meglio, con le forze della cultura) di tradurre questo spirito originario in parola condivisibile. Nella risposta di Napoli, pacata e gentile, benché ferma e recisa, com’è d’altronde il suo libro e la sua natura umana, sono già state dette le cose fondamentali sul tuo articolo. Ma una cosa vorrei aggiungere qui: un saggio nasce innanzi tutto dall’esigenza di dare ordinamento a una materia, non di devastarla in un incendio immane, barbarico, o di ridurla a oggetto di una guerriglia insidiosa. E Napoli lo ha fatto scegliendo un coraggioso punto di equilibrio fra gli studi spesso troppo compiti e asettici del mondo accademico e la tensione animosa del critico militante, inventando - non te ne sei accorto? - una forma nuova di saggistica, che costeggia il genere antologico (e dunque la necessità di fare scelte motivate, di decidere esclusioni anche dolorose) pur conservando la forza severa del saggio.

Non le hai viste tutte queste cose? Quello che ti chiedo, caro Davide, non è di rinunciare ad essere te stesso, ma di provare a uscire dalla fatale adolescenza, piena di generose energie ma anche di terrificanti luoghi comuni, e di cominciare a confrontarti seriamente con le proposte vere, autentiche, così rare - d’altronde - oggi, da stupirci ogni volta che appaiono. E poi, fammelo dire con una certa irritazione: parlare di potere editoriale a proposito di Adriano Napoli, una delle personalità più schive e nascoste della nostra poesia, non ti pare - questo sì - un imbroglio, un vero e proprio «giochetto delle tre carte»?

* poeta e curatore dell’antologia «Il miele del silenzio»

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