Cesare G. Romana
da Milano
Il primo brano sintitola Subùrbio ed è, già nel titolo, una dichiarazione dintenti e un atto di coerenza per Chico Buarque, poeta di periferie e di popolo, cantore - anche - di sgomenti e sentimenti marginali. Che ora ripropone la sua vena umbratile e il suo stile sommesso in Carioca - anche qui unindicazione: così Chico, nato a Rio, fu soprannominato dagli amici di San Paolo -, il nuovo album che esce in questi giorni a sette anni dal precedente As cidades.
Umbratile, sommesso, marginale? Sì, nello stile ammiccante duna scrittura che punta allo scavo interiore e allassenza di enfasi, come nel canto alieno dagli acuti, dimesso e confidenziale comè nelle abitudini di Chico. Non nellorchestrazione: che sacconcia alla dolcezza estenuata, poniamo, di Porque era ela, porque era eu, dove bastano un bandoneon, un violino e un violoncello a raccontare un abisso dellanimo, ma neppure disdegna limpeto epico di Ode aos ratos - quelle percussioni al galoppo, quegli archi da grand opéra, quel trascinante fugato di voci - né lostinazione ritmica di Bolero blues, il fulgore dei fiati nel jazz trascinante di Dura na queda e il sinfonismo luminoso di As atrizes, flauti, clarino, tuba e archi a contendere il passo a pianoforte e arpa.
Insomma, un affresco tuttaltro che monocromo, questo nuovo capolavoro in cui Buarque ribadisce, sì, fedeltà ai ritmi elastici del suo Brasile, ma va oltre gli stereotipi del samba spalancando le porte al blues, alla tradizione cubana, al fado, citando poi nel testo di Subùrbio, e nel tratteggio serpentino della sua melodia, il rock, il reggae, lhip hop, il funk, modi diversi daffrontare il rito dionisiaco e liberatorio della danza. E confezionando il tutto con laiuto di strumenti pop, di altri legati alla tradizione latina e non solo - dalla marimba alla fisarmonica musette al banjo - e di una poderosa orchestra darchi e fiati, utilizzata tuttavia senza toni stentorei, con una leggerezza assoluta e un culto rigoroso della trasparenza. È come - a misura del protagonista bilingue di Budapest, il suo ultimo romanzo - Chico Buarque facesse perno sulla «civiltà» del samba e della bossa nova, badando però a non restar prigioniero dei relativi stereotipi: semmai reinventandone il lessico in termini duniversalità, attingendo via alla cultura africana come a quella americana e perfino al patrimonio colto europeo, tra Mahler e gli impressionisti.
I temi? La forza arcana dellamore richiamata in Outros sonhos sulla scia duna antica canzone popolare - «Finché il fuoco gelava e la neve bruciava / potevo sognare limpossibile, finché tu mi amavi» -, e la solitudine, il perdersi luno nellaltro come nel languido idillio di Sempre, la realtà povera e colorata delle periferie, la religiosità disarmata degli umili, lo stupore assorto della notte in Imagina, con la voce corposa di Monica Salmaso intrecciata a quella insinuante di Chico. Fino allinatteso inno ai topi («Topo di strada / irrequieto, prolifico/ lubrico, libidinoso / transeunte / saccheggiatore della metropoli / tenace roditore di ogni speranza/ stupratore di illusioni / simile a me, figlio di Dio»), che esemplifica con inquieta efficacia il congenito simbolismo di Chico Buarque.
Il quale mobilita in questo album, come coautori, un buon drappello di giovani e vecchi leoni della musica brasiliana: dal sempre rimpianto Tom Jobim a Ivan Lins, Carlinhos Vergueiro, Jorge Helder, Edu Lobo. Trovando negli arrangiamenti di Luiz Cláudio Ramos il giusto contrappunto di screziature, colori inconsueti, dolcezza e irruenza. Di là poi dal suo valore specifico resta, per questalbum di straordinaria scrittura, il peso storico: ché Carioca esce a quarantanni dal primo ellepì di Buarque, pubblicato nel 66 e intitolato al suo nome. Allora Francisco Buarque de Hollanda, ventidue anni, era uno studente darchitettura innamorato del samba e del jazz, amico di Baden Powell, Vinicius de Moraes, Joao Gilberto e Tom Jobim, che di lui dirà: «È moderno e insieme redivivo, nellèra della Cocacola ripropone pura cultura brasiliana, ridà vita, da reincarnato, a parole dimenticate».
Il poeta «Carioca» sposa il ritmo con i colori del pop
Esce il nuovo album del cantore delle periferie che fonde melodie latine, jazz, hip hop e orchestra darchi. In scaletta ballate damore e un inno ai topi
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